È un ritorno: forse non eterno, dopo le elezioni si vedrà, ma nel frattempo è tutto un sorriso: «Toh, chi si rivede», «dov'eravamo rimasti», «dai, ci sei anche tu». È un ritorno che prelude a qualcosa, e Bobo Craxi con i suoi socialisti pensa che la lista «sarà la sorpresa». Su quel qualcosa ci scherza su il redivivo Fabio Mussi. Riespugnare il Nazareno? «Magari sì, però poi cambiamo sede... Le chiese sconsacrate non portano bene». D'Alema, che sceglie una seconda fila e confabula con Bassolino, fa le foto come un militante qualsiasi e vede il 10 per cento «più vicino». Bersani, amico e mentore di Piero Grasso in politica, gongola dalla settima fila: «Allora non le ho sbagliate proprio tutte».
È un ritorno al futuro per i tre «ragazzi» quarantenni, Pippo Civati, Nicola Fratoianni e Roberto Speranza, «la generazione che ha scelto di fare politica dopo la tragedia di Falcone e Borsellino, e ha l'orgoglio di stare dalla parte giusta». Ma è un ritorno al futuro soprattutto per il presidente del Senato, padrone assoluto della scena: al punto che alla fine, quando i cinquemila del PalaAtlantico sono in visibilio e Vendola cerca di spingere Civati sul palco, quest'ultimo si rifiuta e schermisce. No, la scena è e deve restare tutta per questo ragazzo di 72 anni, che nella vita ha fatto il magistrato, è stato messo da Falcone a studiarsi le vagonate di carte del maxiprocesso e da lì non ha più smesso di volare. La mossa è studiata nei minimi particolari e funziona: il presidente del Senato rompe gli indugi e non ha più remore o cautele istituzionali. «L'imparzialità - dice - non prevede la rinuncia alle proprie idee». Assume l'abito del cittadino umile che si trova per caso a domare anzi salvare una platea che ricorderebbe, altrimenti, assemblee dei formidabili '70. Ma il «metodo Grasso» effettivamente è nuovo: parla da «uomo vero, autentico, non come un politico», finge stupore D'Alema. Il popolo che sciama felice e un po' rinfrancato è quello che ha smesso di votare Pd da tempo: per sfiducia, nausea, ribrezzo. «È nostro il voto utile - aveva spiegato Grasso -, quello di far tornare a votare la metà degli italiani che, deluso, non si fida più». È l'«uomo qualunque», la foglia di fico di una sinistra che cerca l'identità sbiadita e torna ad accarezzarne i temi: lavoro, emarginazione, giustizia sociale, fratellanza, libertà. Grasso si commuove, ringrazia più volte, cita l'articolo 3 della Costituzione, «quello che mi emoziona di più», che è già tutto il programma della lista. «Liberi e uguali», scandisce al termine di un discorso sobrio, nel quale si prende le sue rivincite sul Pd che «mi ha promesso di tutto... ma mi spiace, questi calcoli non fanno per me». Per lui non fanno neppure le polemiche e i rancori, e dunque il nome di Renzi neppure viene mai pronunciato. Ma i riferimenti al leader del Pd sono tanti, in discontinuità e alternativa: «A parole sbagliate corrispondono politiche sbagliate. Basta slogan e tatticismi: non sarò un uomo solo al comando contornato da yesman, non aspettativi da me fiumi di parole ma proposte serie e concrete, le fake news le lasciamo ad altri, bravissimi a suggestionare».
Mettere ordine nella «giungla dei bonus», propone, perché i «bonus passano, i figli restano». Il mio progetto, gli sfugge, «sarà aperto e accogliente». Gramsci c'è. E pure Grasso: «Io ci sono». Ora sembra persino fresco, rispetto alla platea di volpi che hanno fatto un passo indietro. Non in pellicceria, però.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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