Il Pd non gioca per vincere. L'approccio alle elezioni del prossimo anno sembra muoversi su due scenari, entrambi puntano a assicurarsi la patta, la differenza è se gli accordi vengono fissati prima o dopo: coalizione elettorale o conta in Parlamento. È questione di scelte, vincoli e opportunità. L'obiettivo è in qualche modo far quadrare il cerchio per conservare lo status quo. Il cambiamento è una minaccia.
La seconda opzione ha bisogno però di un cambiamento, di una norma, la riforma della legge elettorale. Serve insomma il proporzionale. Ci pensano, lo evocano, lo considerano lo strumento naturale di quel limbo che è il post seconda repubblica. L'idea è ammainare il «campo largo», la terra promessa di Enrico Letta, il luogo dove il Pd poteva riconoscere i grillini di Giuseppe Conte come succursale, prima che la guerra e la scissione di Di Maio rendessero tutto questo piuttosto aleatorio. Il proporzionale è il Pd che va da solo, scommettendo sulla sua forza, cercando poi in Parlamento di aggregare corpi e frammenti politici che vagano da Renzi a Fratoianni e poi qualcosa di imponderabile. Questo scenario potrebbe avere ancora come punto di approdo Mario Draghi, che diventerebbe l'uomo della continuità, quello che da Palazzo Chigi conclude il difficile cammino delle riforme e magari offre un minimo di stabilità a un'Italia che viaggia di tempesta in tempesta. Letta ha fatto i suoi calcoli e teme che non ci sia il tempo per cambiare la legge e per trovare senza affanni un'intesa politica con una parte del centrodestra. Berlusconi e Salvini hanno siglato con Giorgia Meloni che esclude un ritorno al proporzionale. Il Pd ci proverà e c'è chi si è messo già ad agitare le acque, sguainando il superamento del Rosatellum, quasi come una minaccia nei confronti di Conte. È il ministro Dario Franceschini. Se i Cinque Stelle si sfilano dal governo il loro amato proporzionale se lo possono scordare. «Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5S dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione -perché un appoggio esterno è una rottura- per noi porterà alla fine del governo e all'impossibilità di andare insieme alle elezioni. E si brucerà chiaramente ogni residuo possibilità di andare al proporzionale». L'allerta del ministro non è affatto piaciuta ai grillini, che si sentono sotto ricatto e si sono messi a maledire tanta arroganza. Come si legge nella chat interna del Movimento: «Il Pd vuole mandarci al 2%, ma andasse a quel paese». Eufemismo. Come dice il deputato di Azione Osvaldo Napoli «il proporzionale è la safety car della politica». Congela e evita risse, caos e autoscontri.
L'importante, ricordiamolo, per il Pd è non perdere. Lo scenario numero uno da questo punto di vista mostra qualche rischio in più. Molto dipende dalla compattezza del centrodestra. Cosa accade se il proporzionale resta nel cassetto? Letta deve rispolverare un'imbarcazione anni '90. È l'Ulivo, l'ingombrante vascello di Romano Prodi, progettato per il bipolarismo senza terzi incomodi, senza spezzatini politici. Qualcosa da guardare con una certa nostalgia, perché come spesso accade le cose da lontano sembrano meno affannose. Non ti ricordi dei capricci di Bertinotti o dei colpi sottobanco di D'Alema. Ti lasci alle spalle perfino il centro oscillante di Mastella. Quello che resta è l'Ulivo come zona di conforto, come una sorta di Arcadia dove tornare quando sembra che ti sei perso. Allora Letta alza le braccia e dice: «Modello Ulivo per battere populismi». Speranza lo spinge: «Sì, dai facciamo l'Ulivo». E prima dell'Ulivo bisogna ricomporre la Ditta, sanare la frattura creata dalla leadership di Renzi, quando i rottomati se ne sono andati verso Leu, a sinistra. Franceschini, ancora lui, li richiama a casa: «È ora che Speranza e Bersani tornino nel Pd». Ricomposizione. È la parola d'ordine.
Come sarà questo Ulivo? Senza «centro». C'è posto per Conte e magari anche per Di Maio (difficile tenerli insieme), sicuramente si raccoglie tutto ciò che gravita a sinistra del Pd e si garantisce una contrada a Emma Bonino e agli altri di più Europa. Non c'è spazio invece per i Calenda e tanto meno per Renzi. Tutti e due non vogliono mischiarsi con i grillini. Meglio, dicono, andare da soli, ognuno per conto suo. Qualche consiglio finale lo offre anche Prodi.
«Lo chiamino come vogliono, anche Fiordaliso! Ma una cosa è chiara: se l'Ulivo non è riproponibile come tale, la lezione resta però attualissima: parlare e ascoltare la gente». Ecco, è quello che da troppi anni manca al Pd. Ascoltare. Ascoltare. Ascoltare.
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