«Siamo veramente impazienti di eliminare il regime sionista. I nostri giovani piloti non vedono l'ora di scontrarsi col regime sionista e di eliminarlo dalla faccia della terra». Così ieri Aziz Nasirzadeh, uno dei generali delle Forze di Quds, la sezione estera delle Guardie della Rivoluzione, poche ore dopo che i caccia israeliani hanno lanciato all'alba un attacco massiccio contro obiettivi iraniani all'aeroporto di Damasco in cui sono rimasti uccisi 11 soldati secondo le fonti siriane, 4 secondo quelle russe.
Niente di nuovo nelle dichiarazioni di antisemitismo genocida dell'Iran, ormai una autentica antologia di ottusa ferocia. E nemmeno negli attacchi di Israele alle strutture iraniane (depositi di armi, strutture di intelligence) in Siria, che secondo il capo di Stato maggiore uscente Gadi Eisenkot sono migliaia. Ma di cose nuove invece ce ne sono parecchie in ciò che è accaduto nelle ultime ore, e nessuna promette bene.
La prima: qualche ora prima dell'ultima tornata di scontri che è in corso da tre giorni, prima il Capo di Stato maggiore e poi il primo ministro Benjamin Netanyahu stesso hanno rivendicato pubblicamente a Israele la paternità degli attacchi. Un gesto che contraddice decenni di ambiguità, che invita il nemico a confrontarsi direttamente con una richiesta che da parte di Israele è sempre la stessa ma è sempre più dura: vattene dal mio confine, non consentiremo che sia stabilito qui uno Stato siriano vassallo delle Guardie della Rivoluzione. In particolare, chi doveva ascoltare l'invito stavolta era il grande generale cui è affidata l'espansione dell'Iran impegnato nella rivoluzione islamica mondiale, Qasem Soleimani. Dopo che Israele aveva causato il ritorno in Iran di un aereo carico di suoi colleghi della Guardia di Quds diretto a Damasco, piccato dall'atteggiamento israeliano diretto e minaccioso e preoccupato forse che Khamenei lo giudicasse indeciso rispetto alla tenuta sciita in Siria, ha deciso per il lancio di un missile terra-terra di grandi dimensioni, capace di una gittata di 300 chilometri, lanciato non su obiettivi militari ma sui campi di sci (gli unici di Israele, molto frequentati in questi giorni di neve) del Monte Hermon. Per fortuna «Iron dome» il sistema israeliano di difesa antimissile ha bloccato l'attacco. Suleimani, pare, aveva preparato quel missile speciale: un analista famoso, Ron Ben Yshai, ritiene che ne abbia curato il lancio personalmente.
I russi domenica pomeriggio dopo aver avvertito l'aereo iraniano della minaccia e averlo indotto a non atterrare hanno ancora trasferito un messaggio israeliano, stavolta ai siriani, chiedendo di non attivare le batterie quando gli F15 hanno attaccato in risposta al missile terra-terra. Ma Assad non ha accettato e perciò, più tardi, altra novità, Israele ha colpito le batterie anti aere siriane dopo aver abbattuto vari obiettivi iraniani. La Russia non ha condannato Israele, ma non è contenta della situazione infuocata. Putin si accontenta di dominare la Siria, non gli interessa affatto consegnarlo all'Iran, né trovarsi impicciato in una guerra che coinvolga Israele e Ayatollah. Israele forse sta pensando che le conviene tornare a una politica di ambiguità in modo da evitare che ci siano ripercussioni dirette dei suoi atti che comunque devono tenere gli iraniani per lo meno a 80 chilometri dal confine, come concordato (e non mantenuto) con Putin. Per ora ce la sta facendo? Sembra di si. Sono anni ormai che l'Iran ha mandato i suoi uomini e le armi sul confine di quel Paese che è la sua più ambita preda, e per ora sembra non aver davvero combinato un granché.
Costruisce e gli viene distrutto, fra i suoi ci sono morti e feriti, la sua forza internazionale ha perso colpi, dopo la fine dell'accordo stabilito da Trump, anche in Europa. Se Soleimani volesse dar fuoco alle polveri, questo potrebbe indurre gli americani a ripensare la loro ritirata dalla Siria, in cui adesso i topi ballano, e potrebbe anche mettere in pericolo Assad.
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