Il 4 marzo gli italiani si troveranno in mano due schede, una per la Camera, una per il Senato (per gli elettori che hanno già compiuto 25 anni). Sembra che non sia cambiato nulla, in realtà dopo dieci anni abbiamo una nuova legge elettorale (definita Rosatellum, dal nome dell'ideatore, il deputato Ettore Rosato). In Lombardia e nel Lazio gli elettori voteranno anche per le Regionali.
Il sistema di voto è misto, nel senso che votiamo sia con il meccanismo proporzionale (plurinominale), sia con quelo maggioritario (uninominale). E si fa tutto con la medesima scheda. Sistema misto che tradotto in numeri vuol dire questo: alla Camera 232 seggi sono assegnati col sistema maggioritario (in un collegio vince il candidato che prende più voti), 386 seggi sono invece assegnati col metodo proporzionale (sulla base della percentuale di voti ottenuta), tenendo conto che ogni partito presenta una lista di candidati in ciascun collegio, senza che l'elettore possa esprimere una preferenza. Restano altri 12 seggi per arrivare a quota 630: sono quelli eletti nelle circoscrizioni estere. Per quanto riguarda il Senato il meccanismo è lo stesso, ma cambiano i numeri: 109 seggi vengono assegnati tramite sistema maggioritario, 200 col sistema proporzionale, 6 sono eletti all'estero. In percentuale i seggi sono così assegnati, sia alla Camera che al Senato: per il 37% col sistema maggioritario, per il 61% col sistema proporzionale, per il 2% agli italiani all'estero (sistema proporzionale).
I partiti che si presentano alle elezioni devono superare uno sbarramento, fissato al 3% su base nazionale, sia alla Camera che al Senato. Al Senato, però, c'è una differenza: se in una regione un partito ha ottenuto almeno il 20% dei voti, può comunque ricevere seggi anche se su base nazionale non arriva al 3%. Per le coalizioni lo sbarramento è fissato al 10%. I voti presi dalle liste minori non vano perduti se si supera l'1%: si sommano a quelli della coalizione, e gli eventuali seggi conquistati sono suddivisi tra i partiti che hanno preso sopra il 3% dei voti. Se invece raccolgono meno dell'1%, invece, questo meccanismo non scatta (il limite dell'1% è stato introdotto per evitare il proliferarsi delle cosiddette "liste civetta").
Ma chiariamo di nuovo, affinché non ci siano dubbi, la differenza tra sistema uninominale e plurinominale. Nel primo caso, meglio conosciuto come maggioritario, i partiti si coalizzano (tranne quelli che si candidano da soli) e presentano un candidato. Chi in quel collegio ottiene più degli altri viene eletto. Il principio è, appunto, quello maggioritario: chi ottiene più voti vince. Nella stessa scheda elettorale troviamo sia i nomi dei candidati del collegio uninominale che i simboli dei vari partiti. Questo può causare un po' di confusione negli elettori. Nel collegio plurinominale, infatti, ciascun partito va da sé, presentando un listino di candidati. Se, sulla base dei voti ottenuti, per quel collegio scatta un seggio per il partito "blu", viene eletto il primo della lista "blu". Se ne scattano due passano i primi due, e così avanti.
Attenzione: si può votare con una sola croce, sul simbolo di un partito. In questo caso il voto va sia al candidato del collegio uninominale (collegato a quel simbolo), sia al partito indicato (proporzionale). Volendo si possono fare due croci: una sul nome del candidato del sistema maggioritario, l'altra sul simbolo del partito. Unica eccezione: non si può fare il voto disgiunto, cioè non si può votare per un candidato di un collegio maggioritario e un partito che non sia collegato alla coalizione che sostiene quel candidato. In questo caso il voto viene annullato.
Le candidature
I politici che chiedono il nostro voto possono presentarsi in un solo collegio uninominale (maggioritario), ma al contempo in più collegi plurinominali
(proporzionale), Ovviamente se un candidato risulta eletto in diversi collegi, deve poi scegliere quello che intende rappresentare in parlamento. Negli altri risulterà eletto, nel proporzionale, il candidato che lo segue in lista.
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