"La situazione peggiora. Ma non pensiamo al ritiro: in Libano sarebbe il caos"

Il portavoce, Andrea Tenenti: "Sulle regole d'ingaggio deve decidere il Consiglio di sicurezza"

"La situazione peggiora. Ma non pensiamo al ritiro: in Libano sarebbe il caos"
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È il terzo attacco che subisce la base Unifil in pochi giorni, ma «lasciare il campo adesso significherebbe abbandonare il Paese nell'instabilità più totale». Occorre «aspettare che si arrivi al negoziato, politicamente e diplomaticamente, perché militarmente è impossibile». Andrea Tenenti è il portavoce dei caschi blu in Libano, e racconta a Il Giornale cosa è successo nelle ultime ore. «Nel primo pomeriggio due razzi hanno colpito la sede centrale della base di Shama, sono stati feriti quattro peacekeepers italiani. Fortunatamente nessuno è grave, i razzi son stati lanciati molto probabilmente da Hezbollah. Un bunker è stato colpito, così come un'area logistica che è utilizzata dalla polizia militare internazionale, causando danni alle infrastrutture della base. C'è stato anche un piccolo incendio, domato dal personale della base. Questo è il terzo attacco che subiamo in una settimana».

Com'è il clima?

«La situazione peggiora rapidamente, di giorno in giorno. Proprio mentre parliamo - qui a Beirut - è scoppiato un razzo. È la quinta esplosione in un'ora. C'è stata un'intensificazione del conflitto. La situazione sta cambiando anche a livello meteorologico. Sta arrivando l'inverno, di certo sarà molto più difficile riuscire ad avere la stessa intensità di combattimenti degli ultimi tempi».

Pensa sia meglio ritirarsi?

«Se all'improvviso 10mila soldati, non solo italiani, lasciassero il sud del Libano vorrebbe dire abbandonare completamente una situazione che stiamo cercando di stabilizzare. La situazione sicuramente è grave, però è importante rimanere soprattutto per il giorno dopo, ovvero per quando arriverà, si spera, un accordo di pace fra le parti. Aspettiamo di vedere come andranno avanti queste negoziazioni, perché come abbiamo sempre detto una soluzione militare è impossibile. L'unica soluzione a lungo termine è una soluzione sia diplomatica che politica. Rimaniamo anche per riuscire a riportare una stabilità in un paese che per 17 anni ha vissuto in tranquillità, fino ad ottobre dell'anno scorso».

Cambiare regole di ingaggio sarebbe una risposta?

«Bisognerebbe capire come si vogliono cambiare, ed è competenza del Consiglio di Sicurezza. Cambiare potrebbe creare ancora più violenza contro la missione stessa, o addirittura innalzare le tensioni. Occorre invece abbassare i toni. In questo momento è difficile ma è importante riportare stabilità in quest'area. Al momento ritengo che le regole di ingaggio siano adeguate alla situazione che stiamo vivendo. Aspettiamo di capire come evolve la situazione e manteniamo in sicurezza i nostri caschi blu».

Quando vi aspettate un accordo di pace?

«Negli ultimi giorni le due parti hanno riferito

di essere vicine ad accordi di pace. Bisogna vedere come verranno formulati e che tipo di soluzioni si troveranno per mettere d'accordo entrambe le parti. Noi siamo pronti ad assisterle, qualsiasi accordo venga trovato».

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