
Nel cuore già inquieto dell'Europa, la Slovacchia vive uno stato di crescente polarizzazione politica. Le ripetute manifestazioni di massa a Bratislava e in altre città del paese rivelano la profonda frattura che si è creata tra il governo populista di sinistra di Robert Fico e una significativa porzione della popolazione, particolarmente quella giovanile, su temi cruciali come l'appartenenza europea e il rapporto con la Russia. Con oltre diecimila persone radunate nella sola capitale, slogan come «La Slovacchia è Europa» e «Vergogna» hanno risuonato di nuovo la scorsa settimana nella centrale piazza della libertà, mentre l'iniziativa civica «Mier Ukrajine» ha rivendicato la raccolta di ben cinque milioni di euro in donazioni per l'acquisto di munizioni destinate all'Ucraina. Un gesto simbolico che testimonia quanto il sentimento europeista e filo-ucraino rimanga radicato in ampie fasce della società slovacca, nonostante la linea ufficiale del governo.
La vittoria elettorale di Fico nell'autunno 2023 era stata d'altronde tutt'altro che schiacciante. Il suo ritorno al potere, dopo una campagna caratterizzata da toni filorussi e anti-americani, si è concretizzato solo grazie a spregiudicate manovre politiche e a una buona dose di trasformismo. Una situazione che avrebbe richiesto una leadership capace di ricucire le divisioni nazionali, piuttosto che accentuarle con posizioni sempre più radicali. Invece, le scelte del primo ministro sembrano aver deliberatamente alimentato le tensioni. L'interruzione delle forniture militari ufficiali all'Ucraina, le dichiarazioni controverse sulla Nato e sull'Unione Europea (pronunciate prima ancora dell'uragano Trump), fino al recente e provocatorio viaggio a Mosca per incontrare Vladimir Putin, hanno definitivamente allontanato Fico da una parte considerevole dei suoi concittadini, che lo accusano senza mezzi termini di tradimento e di servire interessi stranieri. Particolarmente preoccupante è la retorica con cui il governo ha risposto al dissenso, dipingendo le manifestazioni, finora pacifiche, come potenziali tentativi di «rovesciamento» e minacciando vaghe «misure preventive». Un linguaggio che evoca spettri inquietanti in una democrazia europea e che rischia di approfondire ulteriormente il solco tra istituzioni e società civile.
La questione ucraina, in questo contesto, è emblematica di un conflitto più ampio sull'identità e il futuro della Slovacchia. Da un lato, un governo che sembra guardare a est con crescente simpatia, arrivando persino a ventilare l'ipotesi di un'uscita dall'Ue e dalla Nato. Dall'altro, una popolazione che si mobilita riaffermando la propria appartenenza occidentale. Questa frattura generazionale e valoriale interroga profondamente la tenuta democratica del paese.
Se è vero che Fico ha ricevuto un mandato elettorale, è altrettanto evidente che la sua interpretazione di tale mandato sta oltrepassando i confini di quanto molti slovacchi considerano accettabile, specialmente in relazione alla sicurezza collettiva dell'Ue e all'equilibrio di questo fragile nuovo centro d'Europa.
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