All'indomani delle preoccupanti rivelazioni su attacchi informatici cinesi e spionaggio ai danni del mondo politico e di giornalisti europei, la questione è tutt'altro che sopita. Scoppia un caso tra Francia e Marocco, dopo le rivelazioni di Le Monde secondo cui lo stesso presidente Emmanuel Macron e quindici membri del precedente governo francese guidato da Edouard Philippe sarebbero stati spiati da Rabat (che nega tutto) usando il software israeliano Pegasus. Contemporaneamente Pechino, fatta oggetto di accuse molto gravi che riguardano cyberattacchi ai danni di un colosso americano come Microsoft, si difende attaccando e non si limita a negare qualsiasi responsabilità, ma ritorce le stesse accuse contro gli Stati Uniti e assicura di voler agire per difendere dagli attacchi i nostri interessi nazionali.
Partiamo dalla crisi tra Francia e Marocco. Macron assicura che verrà fatta «piena luce» sulle rivelazioni di spionaggio ordito da Rabat. Le fonti sono dati forniti da Forbidden Stories e Amnesty International, ripresi da Le Monde sul suo sito web. I numeri riservati di cellulare di Macron e di alcuni suoi ex ministri, compreso l'ex premier Philippe, risultano in una lista nelle mani dei servizi segreti marocchini. Il numero di Macron sarebbe stato utilizzato «almeno dal 2017 e fino a pochi giorni fa». Ma la lista visionata da Forbidden Stories e Amnesty International comprende ben 50mila numeri.
Quanto alla reazione cinese alle accuse americane, sostenute dagli alleati europei ed anglosassoni, Pechino alza molto la voce e denuncia una presunta coalizione internazionale assemblata da Washington allo scopo di «lanciare accuse inventate dal nulla contro la sicurezza informatica cinese». Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri, bolla le accuse di cyberattacchi contro i server di posta elettronica di Microsoft come «pura diffamazione con motivazioni politiche». Zhao, come si anticipava, non si limita a respingere in blocco le accuse, ma pretende di ritorcerle contro i suoi autori. La Cina comunista, accusa il portavoce governativo, è in realtà la vittima di furti informatici e attacchi da parte occidentale che devono cessare.
Il portavoce cinese afferma esplicitamente che «la Cina si oppone fermamente e combatte qualsiasi forma di attacco informatico e non incoraggerà, sosterrà o condonerà alcun attacco informatico». Ma è almeno dal 2014 che si registrano violazioni di banche dati negli Stati Uniti, nell'Ue, in Australia e a Singapore i cui principali sospettati sono attori statuali in Cina. Obiettivo privilegiato sono i database sanitari, che contengono informazioni riservate sulla salute di personaggi anche di primo piano che poi possono essere ricattate. Senza dimenticare il ruolo nefasto nel furto di informazioni confidenziali attribuito al colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, la cui alta dirigente e figlia del fondatore Meng Wanzhou fu arrestata in Canada nel 2018 con l'accusa di spionaggio innescando una grave crisi bilaterale.
Intanto il caso Pegasus continua a montare.
È stata anche avviata un'inchiesta europea per fare chiarezza su azioni di spionaggio attuate ai danni di giornalisti e altre figure della società civile anche da parte di un Paese membro dell'Ue come l'Ungheria. Ma le ricadute politiche dilagano e indeboliscono il governo anche dell'India, dove il leader dell'opposizione Rahul Gandhi punta l'indice contro il premier Narendra Modi per averlo fatto spiare.
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