Assediato, nel fortino della cultura di sinistra. Luci e ombre della parabola del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il «Papa straniero» che voleva scardinare il sistema progressista e ed è scivolato su una storia di registrazioni e accuse, strumentalizzazioni e rivalsa da parte dell'aspirante consigliera del dicastero del Collegio Romano, quella Maria Rosaria Boccia da Pompei, che è l'incarnazione e il demiurgo della caduta del giornalista diventato ministro. Mai amato dalla sinistra, che non gli ha perdonato nulla. Cavalcando ogni gaffe è amplificando tutti gli inciampi.
Molte luci, qualche ombra. Sangiuliano, giornalista partenopeo con una carriera prestigiosa, è arrivato al Collegio Romano senza timori reverenziali e con grandi ambizioni. Rivoluzionare l'immaginario, provare a cambiare gli equilibri nella casamatta della cultura. Vaste programme, direbbe un ironico generale Charles De Gaulle.
Sangiuliano, invece per gli avversari, è «Napoleone». Oggetto di meme e sfottó ancora prima del Boccia-gate. Cattiverie che hanno scavato come un fiume carsico durante tutta la parabola istituzionale dell'ex direttore del Tg2 ed ex vicedirettore di Libero. «Quando sono arrivato al ministero non mi sono messo a fare il mero erogatore di spesa, ma mi sono dato anche una prospettiva culturale», ha spiegato Sangiuliano poco tempo dopo essere sbarcato al Collegio Romano, già regno del dem Dario Franceschini. E poi una serie di iniziative, urticanti agli occhi dell'intellighenzia progressista.
Dall'impegno per il museo della lingua italiana a Firenze a quello della Civiltà italiana a Bologna. Dalla mostra su Tolkien dell'anno scorso a quella sul futurismo, che dovrebbe aprire i battenti a ottobre. Ma, soprattutto, avrà fatto storcere il naso la decisione di Sangiuliano di riformare il meccanismo della tax credit, i contributi del ministero della Cultura per le opere cinematografiche, troppo spesso usata per erogare fondi a pellicole che nessuno guarda, sovente firmate da registi di sinistra.
Una carriera tutta nel mondo del giornalismo, quella di Sangiuliano. Gli inizi a Napoli e poi l'approdo a Roma, prima a L'Indipendente e poi a Libero. Quindi i ruoli di primo piano: capo della redazione romana del quotidiano fondato da Vittorio Feltri e quindi la vicedirezione. Dal 2003 la Rai. Inviato anche in Kosovo, Afghanistan e Bosnia, poi vicedirettore del Tg1 e la guida del Tg2, nel 2018.
Da qui alle ombre, che hanno oscurato il metodo di lavoro pignolo e attento ai dettagli che ricorda chi ha lavorato con il ministro, anche nel giornalismo. Sangiuliano è stato massacrato, a fine 2022, per aver detto che Dante «è stato il fondatore del pensiero di destra in Italia». E poi la scivolata al Premio Strega del 2023. «Ho votato i libri, ora proverò a leggerli», aveva detto durante la serata, a cui partecipava anche in qualità di giurato. Poi Geppi Cucciari, conduttrice dell'evento, lo ha incalzato. «Ah, non non li ha letti?».
Il ministro poi ha provato a metterci una pezza: «Sì, li ho letti perché ho votato però voglio, come dire, approfondire questi volumi». E ancora, aprile 2024, aveva collocato Times Square a Londra anziché a New York. A giugno Sangiuliano aveva detto che Cristoforo Colombo voleva raggiungere le «Indie sulla base delle teorie di Galileo Galilei». Il tutto amplificato dalla grancassa dell'opposizione.
Fino all'errore sul profilo Instagram, attribuito al social media manager del ministro, in cui si celebravano i due secoli e mezzo di Napoli al posto dei 2500 anni dalla fondazione della città. E quindi il caso Boccia, l'atto finale.
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