«Qual è il tuo futuro?». «Ho già firmato». «Per chi?». «Per noi!». Basterebbe questa frase, pronunciata in campo, subito dopo aver conquistato la coppa Italia del 1988, per spiegare il legame tra Gianluca Vialli e la Sampdoria. Lo volevano tutti, lo corteggiavano a suon di miliardi. Ma lui no, aveva già firmato. Non per la Samp, per «noi». Doveva portare a termine una missione, insieme ai suoi amici. Ci è riuscito con lo storico scudetto del 1991 che avrebbe avuto un finale epico con la Coppa dei Campioni svanita per un nonnulla l'anno successivo. Un legame profondo, un amore ricambiato che non è mai finito. E che poteva essere qualcosa di più. Di diverso.
Calciatore, allenatore, commentatore, dirigente. Tante cose è stato Gianluca Vialli ma una, una cosa ancora, sognava di farla. Essere presidente di una squadra di calcio. E quale altra se non quella del «noi». Ci ha provato. A capo di un gruppo di tycoon americani che nel 2019 arrivarono a un passo dal comprare la Samp, prima che l'ultimo rilancio di Ferrero, ora sull'orlo del fallimento, facesse saltare tutto. E più di recente, quando pur consapevole che il tempo, infame complice di quel male bastardo, non fosse più dalla sua, dando la disponibilità ad altri potenziali acquirenti, aggrappandosi al sogno di sedere sulla poltrona che fu di Paolo Mantovani. Il «suo» presidente, il presidente che creò quel «noi». In un calcio un po' così, voleva portare sapere, idee, passione, signorilità, valori. E appartenenza.
Voleva fare qualcosa di grande, nel solco di quel presidente-padre che lo aveva plasmato. Rimarrà un sogno. Ma soprattutto un rimpianto. Per la Sampdoria e per i sampdoriani. E per il calcio tutto. Poteva dare tantissimo. Mancherà di più.
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