Si immolato come Jan Palach nella Cecoslovacchia del Sessantotto contro i cingolati sovietici. Jan aveva 21 anni, una mattina di gennaio si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, in piazza San Venceslao, in centro Praga, e diede fuoco alla benzina con cui si era cosparso il corpo con un accendino. La vita per un'idea di libertà prima ancora che per una patria invasa. Vitaly Skakun Volodymyrovych, di anni invece ne aveva 24 anni, militare del genio di stanza nella regione di Kherson, si è offerto volontario per posizionare delle cariche esplosive sul ponte di Henichesk, punto strategico che collega la Crimea all'Ucraina, il varco perfetto per carri armati di Mosca, ieri come oggi. In un attimo però ha capito: non avrebbe avuto il tempo di mettersi in salvo, se l'avesse fatto i tank sarebbero passati senza colpo ferire. Così ha avvisato via radio il comando: «Faccio saltare tutto», subito dopo si è sentita l'esplosione. Vitaly se ne è andato come Jan, offrendo la vita in un gesto estremo che sembra fuori tempo, che appartiene a mondi che sembravano scomparsi, a una parola, patria, che sembrava appartenere solo alla retorica.
Invece no. Come dimostra anche Kira Rudik, 36 anni, che fino a pochi giorni apparteneva al mondo di tutti noi, il mondo della contemporaneità, in viaggio verso il metaverso, adesso si sente catapultata nell'Ungheria del Cinquantasei. «Sto imparando a usare il Kalashnikov - scrive su twitter postando una foto con il fucile in mano - e mi preparo a usarlo. È surreale, solo alcuni giorni fa non mi sarebbe mai venuto in mente una cosa del genere». Kira, laureata in computer science con un master in information technology,sedeva in Parlamento, leader del partito Golos, e fino a tre anni fa era l'amministratore delegato di Ring, azienda di sicurezza di proprietà di Amazon. La durezza delle sue parole ce la meritiamo tutta: «Ci siamo sempre chiesti chi avrebbe fermato Putin. Pensavamo che sarebbe stata una coalizione di grandi Paesi, e invece siamo noi». La stessa strada imboccata da Sergiy Stakhovsky, il tennista che battè Federer a Wimbledon, che si è arruolato come riservista. C'è anche un'uomo, ripreso da un cellulare, che i tank cerca di fermarli a mani nudi come il ragazzo di Tienanmen. I primi blindati lo evitano, poi il cellulare, dopo 22 secondi, si spegne. Ma c'è sempre un refolo di speranza nelle tempeste della guerra. Nella metropolitana di Kiev, usata come rifugio dalla gente per difendersi dai bombardamenti, nella notte, testarda e contraria, è venuta alla luce un bambina. Si chiama Mia, ha il berrettino bianco e stringe la mano della mamma. «Mia è nata in un rifugio questa notte in un ambiente stressante, il bombardamento di Kiev.
Sua madre è felice dopo questo difficile parto» racconta la deputata ucraina, Hanna Hopko, che ha rivelato la storia. Nei commenti ci sono la rabbia e l'orgoglio: «Mentre le granate rimbombano nel cielo stanno nascendo tanti piccoli ucraini».
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