Soldi dall'Europa ai Paesi che fanno riforme. E tutto può trasformarsi in un Pnrr perenne

L'ipotesi allo studio: creare un vincolo legato ai risultati. Per convincere la Germania ad ampliare il bilancio Ue

Soldi dall'Europa ai Paesi che fanno riforme. E tutto può trasformarsi in un Pnrr perenne
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Trasformare tutto in un Pnrr permanente, con le risorse europee assegnate ai Paesi in cambio di riforme da mettere in campo su pensioni, fisco e lavoro. Proprio mentre la nuova Commissione si sta delineando, ai vertici di Bruxelles si ragiona su una proposta di riforma radicale del suo bilancio da 1,2 mila miliardi di euro con trattative che inizieranno a partire dal prossimo autunno e un proposta formale in arrivo per il 2025. Come racconta un articolo del Financial Times, una delle idee su cui si sta ragionando è quella di trasformare la distribuzione dei cosiddetti fondi per lo sviluppo e la coesione, risorse deputate a far progredire le aree meno sviluppate economicamente dell'Unione, vincolandole a determinati obiettivi di riforma. Per fare un esempio, l'Italia, che per il periodo 2021-2027 ha disposizione 75 miliardi da spendere, per il bilancio 2028-2034 per ricevere le stesse risorse dovrà vincolarle a un piano di sviluppo, esattamente come ha fatto con il suo Pnrr e la quota di oltre 191 miliardi del fondo Next Generation Eu assegnati a Roma.

Questa partita potrebbe essere una delle più importanti riforme che dovrà condurre in porto la nuova Commissione. Sullo sfondo c'è il tema che, tra spese militari e transizione green, se l'Europa vuole centrare i suoi obiettivi dovrà per forza ampliare il suo bilancio comune, un tema che il blocco dei Paesi frugali capitanato dalla Germania non ha mai voluto prendere seriamente in considerazione. Tuttavia, un cambio di registro sulla distribuzione dei fondi può essere il grimaldello per convincere i Paesi restii ad aumentare il proprio contributo superando i nodi storici che da sempre ostacolano l'azione dell'Unione europea. La sensazione, però, è che passare da una distribuzione dei fondi di coesioni senza condizionalità a una con vincoli piuttosto stringenti è sicuramente indigesta a tutti quei Paesi dell'Europa centrale e orientale che all'inizio degli anni Duemila sono entrati nella Ue allettati da queste risorse. Stati come Ungheria, Slovacchia e paesi baltici sono in testa come percettori netti dei fondi di coesione (in rapporto al Pil) difficilmente accetterebbero di buon grado la prospettiva di una stretta sui fondi qualora decidessero di non sottoporsi a un piano di riforme. La posizione di un alto funzionario di Bruxelles, interpellato dal Financial Times, è tuttavia esemplificativa di quello che si vorrebbe portare avanti: «devono capire che il mondo in cui ricevono una dotazione di fondi di coesione senza condizioni... non c'è più». E un altro ancora ha dichiarato: «l'unico modo per convincere i contribuenti netti a contribuire di più è quello di mettere maggiori vincoli sui Paesi destinatari».

Probabile, quindi, che si innescherà un lungo braccio di ferro tra le diverse fazioni della Ue. Sarà da capire quale sarà il collocamento dell'Italia in questa partita: Roma ha peso politico ed è stata lungamente contributore netto della Ue - nel senso che versava più denaro di quanto non ne ricevesse - una situazione che è cambiata con l'avvento del Pnrr, dove il nostro Paese è stato il primo beneficiario dei fondi.

Arrivare a mettere a terra il piano ha richiesto investimenti sulla macchina pubblica e, in un certo senso, avere avuto la scuola del Pnrr potrebbe rendere Roma la più preparata a gestire una riforma come quella allo studio.

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