La testata Manifesto del 22 dicembre '46, organo del dimenticato e misconosciuto Partito Nazionale Social-fusionista. Un Giorgio Almirante che indottrina borghesissime madame alla Federazione femminile romana, sormontato dal quadro di Mussolini con l'elmetto. Ragazze in jeans e camicetta che picchettano l'ingresso a «Salò o le 120 giornate di sodoma» di Pasolini (1976). Poi ancora un vigoroso Almirante, nei parapiglia di un assalto alla facoltà di Giurisprudenza il 16 marzo del '68. Frammenti di un mondo «sovversivo» e alieno, visto con gli occhi di un ragazzo del 2016, assuefatti al tutto uguale, al tutto indistinto. Al nulla «vale». Invece era l'intero mondo, quello del «valore», per il militante ignoto del Msi, cui è dedicata la bella mostra che celebra i 70 anni di un partito che era «movimento» fin dagli esordi e che, non per caso, tale è sempre rimasto. Così come, non casualmente, il titolo di questa mostra che sovverte gli stereotipi di cui la modernità si nutre ci parla di «Nostalgia dell'avvenire», specchio capovolto dello slogan «ci rubano il futuro» che da anni campeggia in tante periferie degradate, e cifra assodata del precariato giovanile.
Che cosa sia stato il Msi, poi svaporato in An, è esercizio di forte impegno e grande apertura mentale verso il mondo della contraddizione che albergava in quell'idea coraggiosa ai limiti della provocazione, messa in movimento da uno sparuto drappello di Repubblichini sopravvissuti e mai domi. Come appunto Almirante. Che, al di là delle due segreterie, ne incarnò sempre lo spirito profondo. Quella frammentazione di sentimenti contrastanti e violentissimi che dettero voce a chi aveva vissuto il Ventennio senza vergogne e ipocrisie postume. Ed è qui, allora, che occorre dire anche del presente, dell'apertura ieri della mostra organizzata da Franco Mugnai (presidente della Fondazione An), ideata da Marcello Veneziani e curata dallo storico Giuseppe Parlato. Presentazione che ha visto per una volta ancora insieme Gianfranco Fini e i suoi «colonnelli» di un tempo. Ragazzi degli anni Settanta che hanno diviso il pane della politica e che la politica ha tradito, nei sentimenti personali, proprio quando si era passati stabilmente dalle cosiddette «fogne» dell'emarginazione, della piazza, alla presa del Palazzo, del governo, del potere e dei soldi. Paradossale, umanissimo ma anche tristissimo epilogo che i Padri missini non soltanto avrebbero deplorato, ma neppure potuto comprendere. Così anche ieri, negli imbarazzi e nella prima fila dei posti lasciati vuoti accanto all'ex segretario Fini (poi occupati dalla fida segretaria d'un tempo, Rita Marino e, poco più in là, da donn'Assunta Almirante). Freddi saluti, forse non proprio in cagnesco, ma anche il plastico emergere del perché e come sia avvenuto il vero tramonto missino. Forse per interpreti non degni dei predecessori? Può essere. La sensazione resta quella di un mondo lontano e perduto. Nel quale la gioventù e la forza delle idee (anche sbagliate) sono appese ai muri, mentre l'evoluzione della politique politicienne ha segnato solchi d'incomunicabilità irrimediabile. Come quelli descritti da Fini, quando a margine della presentazione (guastata dagli schiamazzi di una signora che rivendica la titolarità della Fiamma), declinava le divisioni in atto, «qualcuno che ipotizza addirittura l'uscita dall'euro». No, questi ex ragazzi missini mai più imboccheranno sentieri comuni.
Lo spirito della contraddizione attiva, quello che animava un partito nel quale coesistevano Almirante con Rauti, Menniti con Niccolai, Tatarella con Romualdi, necessita di un'Idea. Con la maiuscola, quando qui latitano persino quelle mignon, e prêt-à-porter.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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