L'annuncio che cambia la storia dell'India arriva alle 14,34 ora italiana mentre il premier Narendra Modi è a Johannesburg per il vertice dei Brics: l'India è sulla Luna. Il lander Vikram, che trasporta il rover Pragyan (saggezza in sanscrito), dopo essersi staccato giorni fa dal modulo di propulsione è atterrato in maniera ragionevolmente morbida nella regione del polo sud lunare. Modi ha seguito con il fiato sospeso, come tutto il Paese, gli ultimi minuti della missione Chandrayaan-3, partita da Bangalore il 14 luglio scorso. Si sa che in un viaggio lungo 384mila chilometri può avvenire di tutto, e Delhi aveva già dovuto digerire la delusione del 2019, quando il 9 settembre la missione Chandrayaan-2 era fallita perché la sala di controllo indiana aveva perso il contatto con il lander proprio nella fase di allunaggio. Smacco dimenticato. «È un giorno storico per il settore spaziale dell'India», scrive Modi in un post sul social X.
Un piccolo passo per il rover Pragyan, un grande passo per l'India, che irrompe nel ristretto circolo delle nazioni che sono riuscite a violare il nostro satellite, dopo gli Stati Uniti, l'Unione Sovietica e la Cina. Tutti i competitor si congratulano con Delhi, la Russia, la Nasa, l'Esa, ma è chiaro che questa impresa rimescola le carte della nuova corsa allo spazio, che ha trovato nuovo slancio negli ultimi anni come terreno fatidico di sfida geopolitica. Non si può non ricordare che proprio pochi giorni fa, il 20 agosto, la Roscosmos, l'agenzia spaziale di Mosca, ha dovuto ammettere il fallimento della missione Luna-25, la prima della Russia dopo l'epopea della guerra fredda spaziale degli anni Cinquanta e Sessanta. Allora però si trattava della ferrigna Unione Sovietica, che tanti schiaffi dette anche agli Stati Uniti. Per questo la débâcle putiniana nei confronti dei parvenu indiani rappresenta una sconfitta che brucia, soprattutto perché sancita nel corso di un vertice in cui ci sono sia Mosca sia Delhi, e qualcuno a Johannesburg constata malizioso: India-Russia 1-0.
L'irruzione dell'India dimostra che la corsa allo spazio coinvolge oggi molti più attori e non è più solo questione di orgoglio nazionale di retorica progressista, quel principio per cui lo spazio tutto è «provincia dell'umanità» e nessun Paese può rivendicarne territori o risorse se non per il bene di tutti gli abitanti della Terra.
Oggi dietro la corsa alla Luna e allo spazio ci sono interessi economici e militari, e un giro di affari che nel 2020 era stimato in 447 miliardi di dollari e nel 2040 toccherà i mille miliardi. Il nuovo Eldorado lunare si chiama Polo Sud, quello meno esplorato del satellite e quello dove è atterrato il lander indiano. Qui gli scienziati pensano ci siano minerali rari e preziosi e soprattutto «giacimenti» di acqua ghiacciata che potrebbero diventare fonte energetica e presupposto per la permanenza degli astronauta sulla Luna. Chi ci arriva per primo acquisisce un vantaggio nella corsa globale a «colonizzare» il satellite. Da questo punto di vista il successo indiano e il fallimento russo rappresentano un passo falso anche con la Cina, che nel marzo 2021 ha siglato un accordo per la costruzione in comune di una stazione lunare permanente. Un'alleanza sbagliata per Pechino?
E poi ci sono gli Stati Uniti. Che serrano le fila per tornare anch'essi sulla Luna, con il programma Artemis della Nasa che dovrebbe portare attorno al 2026 un uomo (e una donna) sul suolo lunare. Anche in questo caso l'obiettivo è il ricco e misterioso meridione lunare. La variabile americana è data dall'ormai consolidato contributo dei privati nell'industria astronautica: lo SpaceX di Elon Musk che lavora a mandare finalmente nello spazio il suo razzo Starship, e società come Axiom Space e Blue Origin di Jeff Bezos che puintanoa costruire un'alternativa alla Stazione Spaziale Internazionale. Ma a Washington si lavora anche sulla «militarizzazione» dello spazio: difendere i propri asset galattici significa tutelare le telecomunicazioni, i navigatori satellitari e moltissime attività militari. In pratica la vita come la conosciamo ora. Per questo Donald Trump nel 2018 annunciò la creazione di una Space Force come sesta branca dell'US Army. Fu sbeffeggiato.
Ma gli anni successivi si sono incaricati di dimostrare che almeno in questo caso non di sparata da sbruffone trattavasi bensì di precisa necessità strategica. Al punto che il successore democratico Joe Biden ha tenuto in piedi il progetto. Il campionato mondiale dello spazio è appena incominciato.
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