In principio fu un annuncio, politico, per voce di Matteo Salvini: l'Italia non intende più stare al gioco. O almeno non alle regole stipulate dell'Ue con l'allora governo Renzi. La missione navale Eunavfor Med - Sophia è una spina nel fianco del Belpaese, costretto ad aprire le porte a tutte le navi militari europee cariche di immigrati. E il governo lo sa.
La voce grossa del vicepremier leghista si tradusse nella posizione assunta da Giuseppe Conte al famoso Consiglio Ue sui migranti. Dopo lunghe trattative notturne, i capo di Stato e di governo se ne uscirono con un accordo che il premier italiano rivendica tuttora come positivo. Il motto: "Chi sbarca in Italia, sbarca in Europa".
"Le conclusioni del Consiglio europeo di giugno sono farcite di termini come 'condivisione' e 'sforzo congiunto' - disse il ministro degli Esteri Moavero - . Ebbene, alla luce di questi due elementi, noi non riteniamo più giustificato che le persone che continueranno ad essere salvate nell'ambito dell'operazione Sophia siano portate tutte nei porti italiani". Giusto. Peccato che, come spesso accade, ai buoni propositi dei nostri partner non siano seguiti fatti concreti. Anzi.
Oggi a Bruxelles si è riunito il Comitato politico e di sicurezza (Cops) e nella bozza che trapela in queste ore pare manchi un punto fondamentale per l'Italia: la revisione dei luoghi di sbarco delle navi dell'operazione Sophia.
"Sophia - spiegava in Commissione Moavero - ha adottato il piano operativo di Triton, che prevedeva, anche a fronte dell'intervento di mezzi di altri Stati Ue, l'accoglienza nei nostri porti di tutte le persone salvate. Noi abbiamo segnalato che Triton si è conclusa e abbiamo chiesto se avesse senso riferirsi al piano operativo di un'operazione chiusa per una ancora in corso". In sostanza, l'Italia vorrebbe rivedere le regole di Sophia, creandone di nuove invece di usare a modello Triton (cioè quell'accordo stipulato da Renzi).
Per rafforzare la sua posizione, il ministro degli Esteri alcuni giorni fa inviò una lettera a Federica Mogherini in cui si diceva pronto a non considerare più attivo il piano operativo di Sophia. Tradotto: porti chiusi per tutti. Junker provò a mediare, inviando una missiva a Conte e promettendo una cabina di regia europea. Poi però si lavò le mani rispetto alla questione più importante, ovvero quella sui porti. "L'Ue non ha competenza per determinare il luogo sicuro da usare per gli sbarchi in seguito a un'operazione di ricerca e salvataggio in mare", chiarì Juncker. Era solo un assaggio della fregatura finale.
Alla prima riunione del Cops, era il 19 luglio, la posizione italiana fu ribadita dall'ambasciatore ai partner europei. Il governo finì col ritrovarsi in netta minoranza e fu così costretto a cercare una mediazione. Pochi giorni dopo Moavero ritrattò, sostenendo di non aver "mai scritto che noi ci saremmo sottratti alla missione, e tanto meno all'elemento di aiuto umanitario". I porti quindi sarebbero rimasti aperti fino al raggiungimento di un accordo.
In cambio l'Ue assicurò una accelerazione del processo di discussione della revisione di Sophia. "Serve il tempo diplomatico", spiegò il ministro della Difesa Trenta, ma "c'è la disponibilità di Federica Mogherini per accorciare questi tempi". Vero. Peccato che alla riunione del Cops abbiano discusso di tutto tranne che del punto chiave per il Belpaese. Bella fregatura.
Secondo quanto trapela da fonti diplomatiche, infatti, nella bozza di accordo inviata agli Stati membri il 27 luglio scorso non si fa cenno ai porti di sbarco dei migranti salvati in mare dalle navi militari comunitarie.
Per l'Ue servirebbe un accordo (unanime) tra i 28 Paesi membri e Bruxelles in questa partita non sembra intenzionata né a fare pressioni né a partecipare. La palla quindi passa ai capi di Stato e chissà quando se ne riparlerà. Alla faccia della "solidarietà".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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