Non son Degni di te. Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti ha affrontato con un'adunanza straordinaria le sparate social del consigliere Marcello Degni e ha disposto l'invio immediato degli atti al Procuratore generale della Corte dei conti «cui esclusivamente sono rimesse le funzioni inerenti alla promozione dell'azione disciplinare». Insomma, rischia seriamente la poltrona il consigliere di chiare simpatie Pd che ha sperato nell'ostruzionismo di Elly Schlein durante la discussione sulla manovra di bilancio: «Potevamo farli sbavare di rabbia portando l'Italia all'esercizio provvisorio», ha scritto Degni il 30 dicembre scorso, violando manifestamente i principi di terzietà ed imparzialità non solo del giudice ma dell'intera magistratura contabile. Che nei prossimi giorni potrebbe presentargli il conto.
«Ritengo non spetti a me intervenire su cosa accadrà ma mi spetta fare una valutazione sulla gravità di quanto accaduto e sulla sfrontatezza con cui questo giudice ritiene sia normale farlo», ha ricordato ieri il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che per l'ennesima volta ha chiamato in causa sia la Schlein sia l'ex premier Paolo Gentiloni, che ha nominato Degni nell'organismo di rilevanza costituzionale.
Ma il tema è l'equilibrio tra poteri dello Stato, con sullo sfondo la riforma della giustizia di cui ha parlato la stessa premier: «È una delle mie priorità per il prossimo anno», ha annunciato, facendo gongolare gli alleati. «Sgombrato il campo dalle troppe fake news circolate nelle ultime settimane, la riforma si farà e sarà all'insegna del garantismo», è il ragionamento del viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto di Forza Italia.
Al di là della separazione delle carriere e della riforma del Csm - questioni costituzionali da trattare con le molle - il cuore della partita è riequilibrare lo strapotere di alcuni ex grand commis come Giuliano Amato, che nei giorni scorsi ha paventato un rischio di «deriva autoritaria» alla Corte costituzionale perché toccherà a questo esecutivo nominarne quattro giudici. «Il mondo in cui la sinistra ha più diritti degli altri è fi-ni-to - ha ribadito la Meloni, puntando il dito contro il Dottor Sottile - non mi piace questa idea della democrazia per la quale quando vince la sinistra deve avere le prerogative della maggioranza e quando vince la destra no», come se i giudici della Consulta andassero «nominati dal Pd, sentito il parere di alcuni intellettuali»? Tanto più se, come Il Giornale ha ricostruito nei giorni scorsi, il caso sollevato dall'ex consigliere Nicolò Zanon sulla vicenda che ha portato alla cacciata di Luca Palamara dalla magistratura e alla retromarcia sulla nomina di Marcello Viola alla Procura di Roma, dovesse esplodere ancor di più quando finirà in Parlamento. «Per colpa di pressioni dall'alto la Consulta ha calpestato la Costituzione sull'allora parlamentare Cosimo Ferri, intercettabile da non indagato», aveva detto Zanon durante la presentazione del libro di Alessandro Barbano La Gogna sulla notte all'Hotel Champagne, quando Palamara, Ferri e altri vennero intercettati e sputtanati sui giornali. Lo sottolinea anche il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri: «Amato è il custode della protervia della sinistra che deve occupare e lottizzare la Corte Costituzionale e la Corte dei Conti, difende una Consulta che recentemente ha dato luogo a vicende inquietanti.
Sono curioso, ad esempio, di capire se chi ha presieduto la Corte Costituzionale come Silvana Sciarra dovrà andare alla poltrona della Scuola di magistratura (come spera Liana Milella su Repubblica, ndr) o non sia più opportuna un'altra scelta». Quanto a Degni «ci auguriamo che venga seguita al più presto dalla radiazione di costui da un organo di cui non è degno di far parte», accusa Gasparri.
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