Ma quali sono queste ricette, quali sono queste proposte con cui Enrico Letta al Tg3 dice di poter «convincere gli italiani» a votare per un partito che ha governato (male) da dieci anni quasi ininterrotti senza aver mai vinto? Il segretario Pd continua con la sua apocalittica litania sul governo «delle destre» che lascerebbe solo macerie mentre dentro il Nazareno i capibastone si stanno già giocando a carte la sua poltrona, e vabbè. Ma le macerie, quelle vere, sono un'eredità della sciagurata spending review firmata dal suo governo e dal candidato Pd Carlo Cottarelli (nella foto).
Sono anni che si parla di tagli alla spesa improduttiva, eppure siamo ancora schiacciati tra un debito pubblico monstre, aggravato da Covid, crisi economica e conflitto in Ucraina, e una pressione fiscale insostenibile, tanto che il centrodestra compatto ha chiesto di congelare le cartelle esattoriali. Segno tangibile che le forbici del Pd sono state spuntate, inefficaci, insomma più dannose che inutili.
A sostenerlo non è Il Giornale ma i documenti che i segugi del Centro studi Fiscal Focus coordinati da Antonio Gigliotti sono andati a cercare e di cui abbiamo già parlato nei mesi scorsi. Ma repetita juvat. Carte a disposizione di Letta e Cottarelli, ammesso che le vogliano davvero leggere. Secondo i dati saltati fuori dopo l'accesso agli atti degli esperti di Fiscal Focus, è chiaro che la spending review Letta-Cottarelli non ha avuto come priorità quella di migliorare l'eguaglianza sociale o i servizi forniti ai cittadini dalla pubblica amministrazione, ma soltanto di generare risparmi. Altro che lavoro, giovani, uguaglianze come blatera Letta.
Leggendo le risposte fornite dalla Ragioneria dello Stato alla Commissione europea, gli stessi funzionari hanno dovuto ammettere che il risultato della spending review Letta-Cottarelli veniva preso in considerazione solo «occasionalmente», anche perché - contrariamente ai principi che governano la finanza pubblica - ogni decisione andava rigorosamente valutata per capirne costi e benefici. Ma l'impatto delle politiche di revisione della spesa non è mai stato fatto. Anzi, secondo i funzionari della Ragioneria dello Stato l'ampia comunicazione sulle politiche di spending review è stata fatta solo per annunciare le riforme.
Nella richiesta di supporto tecnico avanzata dal Mef alla Commissione Europea nel 2020 dal titolo Valutazione delle politiche pubbliche inerenti la programmazione e la gestione dei fondi pubblici si legge: chi programma e gestisce i soldi pubblici fa «poco uso di evidenze provenienti dalla valutazione delle politiche pubbliche» con conseguenze sciagurate sulla «generale efficienza ed efficacia delle risorse allocate». Anche durante il dibattito parlamentare si è prestata «poca attenzione alla misurazione dei risultati nelle decisioni di budget» e vi è stata una «diffusa mancanza di una cultura della valutazione delle politiche pubbliche». Firmato Mef.
Anche il Mise ha chiesto lumi alla Commissione europea: i funzionari sanno - meglio dei politici - che senza un «tempestivo monitoraggio dell'implementazione e dell'efficacia delle misure esistenti» è impossibile «pianificare la proroga, la modifica o l'eliminazione e la più generale razionalizzazione degli
strumenti ed incentivi esistenti», altrimenti il rischio è «adottare politiche come semplice ripetizione anziché sulla base di solide evidenze». Eccolo, il mantra di Letta e Cottarelli: tagliate, tagliate... Qualcosa resterà.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.