Neppure il classico rimbalzo del gatto morto, quello che in genere si concede a una Borsa reduce da una tranvata: dopo il crollo di venerdì scorso (-3,7%), Piazza Affari ha iniziato la settimana con un calo dello 0,5% che porta a 28,3 i miliardi di capitalizzazione bruciati in sole due sedute. Ma il versante da cui arrivano le maggiori inquietudini è quello dello spread, risalito ieri a 283 punti dai 269 di venerdì scorso, quando peraltro il differenziale tra Btp e Bund tedesco si era allargato di una trentina di punti rispetto al giorno precedente. Sono altri 800 milioni di potenziale aggravio degli interessi sul debito, per una stima di 5,1 miliardi di maggiore esborso su base annua. Non solo. Se la forbice di rendimento non è mai scesa sotto quota 200 da quando il governo gialloverde si è insediato, i livelli attuali sono esattamente gli stessi toccati in occasione della nomina, contestatissima e poi abortita, di Paolo Savona alla guida del ministero dell'Economia.
Ciò dà la misura del crescente nervosismo degli investitori e di quanto l'Italia abbia davanti a sé una sorta di plotone di esecuzione pronto a far fuoco. Mercati brutti e cattivi? Forse, ma certo poco aiutati ad avere un atteggiamento diverso. Una prova? Il rientro anticipato di Giovanni Tria ieri da Bruxelles, unito all'annuncio che il ministro del Tesoro non prenderà parte all'Ecofin di oggi, è stato l'elemento scatenante della fiammata dello spread, dell'ascesa dei tassi del decennale al 3,28% (massimo dal 2014) e della chiusura in rosso della Borsa con rinnovati dolori per le banche (-3% l'indice di categoria). Al di là della motivazione ufficiale secondo cui la rentrèe era prevista per poter completare la Nota di aggiornamento al Def (ma allora perché non comunicarlo fin da domenica, a Borse chiuse?), la frettolosa rimpatriata è suonata alle orecchie dei mercati come il segnale di un'emergenza. La toccata e fuga dalla capitale belga del professore assume infatti un significato ben preciso alla luce delle parole con cui il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha di fatto bocciato lo sforamento al 2,4% del rapporto deficit-Pil («Una deviazione molto, molto significativa rispetto agli impegni presi»), lasciando così intendere come il guanto di sfida lanciato dal duo Di Maio-Salvini è stato raccolto. E le stesse riserve verso la manovra sono state certamente ribadite nell'incontro che Tria ha avuto ieri sera prima di tornare a Roma con Moscovici e con il vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, un altro molto critico verso le scelte di politica economica («Le misure italiane non sono compatibili con le regole del Patto di stabilità e crescita»).
Con questi chiari di luna, è evidente che i mercati stiano ragionando su un doppio binario. Il primo prevede una correzione significativa al «palinsesto» basato su un deficit spending indigesto a Bruxelles; l'altro, la difesa da parte del governo del Def con probabile apertura di una procedura d'infrazione comunitaria. Il tutto mentre sull'Italia pende sempre la spada di Damocle di un declassamento, questo mese, del nostro rating sovrano da parte delle agenzie di rating. L'Italia è appena due tacche sopra il giudizio junk (spazzatura), un livello che impedirebbe a molti fondi e alla stessa Bce di acquistare i nostri titoli. «Una raffica di declassamenti - segnalano gli strateghi di Natix - avrebbe implicazioni di gran lunga maggiori di una semplice svendita di attività italiane: il governo italiano potrebbe finire per cedere sotto la pressione». L'impatto sullo spread, destinato a sfondare la soglia dei 400 punti «se Moody's e Standard&Poor's decidessero di bocciare l'Italia», sarebbe comunque inevitabile.
Di sicuro, da ieri il nostro Paese è meno protetto dallo scudo della Bce.
Gli acquisti mensili nell'ambito del quantitative easing sono infatti stati dimezzati a 15 miliardi di euro, in attesa di essere azzerati il prossimo dicembre. Quando ci toccherà far conto solo sulle nostre forze per tenere a bada lo spread.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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