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Standard & Poor's stanga l'Italia. Le riforme Renzi valgono BBB-

L'agenzia statunitense taglia il rating sul debito a lungo termine: le previsioni del governo sono troppo ottimistiche

Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi

RomaPrima borse euforiche, spread in calo, ai minimi dal 2010, poi rating sovrano tagliato, a un passo dal livello spazzatura. Una giornata di follia per l'economia italiana, scandita da segnali contrastanti, tanto da prendere in contropiede anche Palazzo Chigi. Positivi fino alla chiusura dei mercati, pessimi in serata quando l'agenzia statunitense Standard & Poor's ha tagliato il rating sul debito a lungo termine da «BBB» a «BBB-», con outlook stabile. Una decisione che «riflette la debolezza ricorrente che vediamo nella performance del Pil» italiano e dalla «erosione della competitività», che mina «la sostenibilità del debito». In sostanza per S&P l'Italia cresce poco, la domanda interna non riprende quota, così come il livello dell'occupazione. Senza decreti attuativi, impossibile valutare il Jobs Act .

Una bocciatura, di fatto, che non riguarda solo i conti pubblici, ma l'economia reale, come dimostra il giudizio dato dalla stessa agenzia all'Irlanda, il cui rating sul lungo termine è passato da A- ad A, nonostante l'alto livello del debito pubblico. La chiave è la ripresa dell'occupazione, che da noi non c'è.

La notizia è arrivata dopo la chiusura dei mercati, euforici per le mosse di Mario Draghi e la conferma del quantitative easing , cioè l'acquisto di titoli di debito da parte della Bce. La migliore borsa, paradossalmente è stata Milano, che ha guadagnato il 3,41%. Fiducia dei mercati confermata dal livello dello spread tra il Btp e il Bund che ieri è sceso sotto la soglia dei 120 punti base, a 119 con rendimento decennale all'1,97%, segnando il minimo da maggio 2010.

Persino il premier Matteo Renzi aveva festeggiato. «Lo spread è sceso sotto i 120 punti», ma «essendo una buona notizia non va oltre i trafiletti». Ottimismo mal riposto, freddato da una visita pomeridiana del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan al premier. Ufficialmente per parlare di legge di Stabilità, più verosimilmente per riferire le cattive notizie.

Per la verità, qualche turbolenza si era già notata in mattinata. Una battuta del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble («Non vorrei essere nei panni di Padoan» alle prese con le riforme). Prima ancor un certo attivismo dello stesso ministro dell'Economia che in una lettera al Corsera aveva rivendicato un maggiore ruolo dell'Italia in Europa, in particolare nell'avere favorito il piano del nuovo presidente della Commissione Juncker per gli investimenti, che dovrebbe valere 300 miliardi di euro.

Il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta ha confermato di non credere né a Padoan né al politico del Lussemburgo. La dichiarazione di Padoan è «improbabile e masochistica». Il piano degli investimenti Juncker, «una scatola vuota». Dei «fantomatici 315 miliardi solo 21 sono veri».

Anche Romano Prodi, ex premier ed ex presidente della Commissione Ue, ha bocciato il piano: «Le fonti da cui passa il finanziamento sono assolutamente incerte».

Segnali aticipi anche dal governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, che, ha lanciato l'allarme sul rischio deflazione, ma ha anche parlato dell'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, con toni inconsueti: «C'è un conflitto di cui dobbiamo discutere apertamente».

Il rischio è violare il trattato della Bce, che vieta di «finanziare monetariamente i singoli paesi». Proprio su questo punto giovedì il consiglio della Bce si è diviso. E le parole di Visco non aiutano certamente la posizione di Draghi.

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