Il G7 straordinario dedicato all'Afghanistan era stato convocato con la speranza di produrre un messaggio unitario. Un messaggio che contrastasse l'insistente narrativa degli avversari dell'Occidente, Cina in testa, secondo cui tra Stati Uniti ed alleati europei questa crisi ha prodotto una frattura profonda e in qualche modo irreversibile, che smentisce l'ottimistico slogan di Joe Biden «America is back» e rappresenta l'inizio della fine dell'egemonia americana (e occidentale) nel mondo. È giusto riconoscere che questo messaggio non è arrivato. Che al suo posto è arrivato un soffertissimo mix di dichiarazioni dei sette leader che si sforzano di dimostrare un'unità d'intenti che in realtà non c'è.
Il comunicato finale prende atto della situazione. Il punto sostanziale su cui le distanze tra americani ed europei sono rimaste immutate è quello della data della fine delle operazioni di evacuazione dall'aeroporto di Kabul. Gli europei (ma anche i canadesi), con il premier britannico Boris Johnson in testa, insistevano sulla necessità che gli aerei carichi di fuggitivi potessero continuare a partire anche dopo il 31 agosto. Quella data, concordata dagli americani nei loro negoziati con i talebani, appare oggi chiaramente insufficiente a garantire la partenza a decine di migliaia di aspiranti fuggitivi, e per questo gli alleati hanno insistito con diverse sfumature - durante il G7 affinché «l'imperativo morale» di salvare queste persone fosse attuato anche dopo il 31, ignorando il rifiuto dei talebani.
La risposta di Biden è stata negativa, ma sufficientemente ambigua da mantenere aperto uno spiraglio che salvi la faccia di chi ha esercitato pressioni su di lui e magari ottenere dai talebani una manciata di giorni in più. In sostanza, Biden ha detto di volersi attenere ai consigli dei suoi generali, e cioè a non voler rimanere con i suoi quasi seimila militari al Karzai International Airport di Kabul oltre il 31 onde evitare di veder precipitare la situazione sul campo. Poi però ha aggiunto che il rispetto della scadenza «è condizionato al mantenimento da parte talebana dei loro impegni a lasciare libero il transito verso l'aeroporto per tutti coloro che intendono lasciare l'Afghanistan», che è esattamente quello che ieri hanno detto di non voler più consentire. E ha fatto sapere di aver dato incarico al Pentagono di preparare «piani contingenti» se si renderà necessario rimanere a Kabul più a lungo del previsto.
Tanto è bastato per permettere alla Cancelliera tedesca Angela Merkel di sostenere che «il G7 ha proceduto in modo unitario», e che le evacuazioni da Kabul «rimangono prioritarie ma sono difficili». Boris Johnson - alla vigilia insieme con il presidente francese Emmanuel Macron il più esplicito critico delle decisioni rinunciatarie di Biden - se l'è cavata alla fine affermando che i leader del G7 «non si sono limitati a concordare un approccio comune per gestire l'evacuazione, ma hanno anche tracciato insieme una road map per il futuro dei rapporti con i talebani». Johnson ha poi parlato di velleitarie «condizioni» che i leader occidentali pongono ai nuovi padroni dell'Afghanistan: lasciar libero un passaggio per l'espatrio anche dopo il 31. Mario Draghi ha insistito per «mantenere aperti i canali di comunicazione con i talebani anche oltre il 31 agosto», promettendo di concentrare le risorse italiane sull'aiuto umanitario. Il leader canadese Justin Trudeau non esattamente un militarista, ma a caccia di voti nelle elezioni del mese prossimo si è detto disposto a mantenere le poche truppe del suo Paese ancora a Kabul oltre la fine del mese, mentre Macron continua a chiedere a Biden «più tempo». Un minestrone confuso che allieta le cancellerie di Pechino e di Mosca.
Il mancato accordo sulla data dell'addio a Kabul rischia di far dimenticare che al G7 si è discusso di molto altro. In particolare sull'opportunità di concedere un riconoscimento ufficiale a un futuro governo talebano: su questo punto il rappresentante dell'Ue Charles Michel (sì, c'era anche lui) ha chiarito che è troppo presto per definire futuri rapporti. Il comunicato finale del G7 precisa che questi dipenderanno dal rispetto dei diritti umani in Afghanistan e dal fatto che il governo sia «inclusivo e rappresentativo, con adeguata presenza di donne e minoranze», il che appare a dir poco improbabile. Si è discusso del rischio che Kabul torni a essere una calamita per il terrorismo islamico mondiale, e si è raccomandato caldamente ai talebani che non commettano l'errore di consentirlo.
Si è parlato con preoccupazione del rischio di un'alluvione di profughi in Europa. Infine il tema sanzioni: la minaccia di infliggerle ai capi talebani se non manterranno gli impegni internazionali rimane sospesa come una spada di Damocle.
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