Le misure dei decreti Rilancio e Agosto per agevolare il pagamento dei debiti della pa sono state un flop. È quanto ha certificato ieri l'Ufficio studi della Cgia di Mestre sottolineando che dei 12 miliardi di euro messi a disposizione dal governo per consentire ad Asl, Regioni ed enti locali il saldo delle fatture scadute entro il 31 dicembre 2019, solo poco più di 2 miliardi sono stati richiesti da questi soggetti pubblici alla Cassa depositi e prestiti (Cdp) per saldare i propri creditori. In particolare, alla scadenza del 7 luglio per la richiesta di prestiti trentennali a Cdp al tasso dell'1,22% le domande hanno sfiorato i 2 miliardi. Alla riapertura dei termini (dal 21 settembre al 9 ottobre) sono state domandate risorse per 110 milioni di euro. Insomma, ancora una volta le aziende che lavorano per la Pa sono rimaste in massima parte a bocca asciutta, osservano gli artigiani mestrini.
«Tra crisi, calo degli ordinativi e mancati pagamenti, tante aziende denunciano insistentemente la mancanza di liquidità e non è da escludere che, a dicembre, molte avranno grosse difficoltà a pagare le tredicesime ai propri dipendenti», commenta il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo, aggiungendo che «la questione sarebbe risolvibile se fosse consentita per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i debiti della Pa verso le imprese e le passività fiscali e contributive in capo a queste ultime: un automatismo che ristabilirebbe un principio di civiltà giuridica». Questa forma di sollievo, infatti, è stata prorogata per 2019 e 2020 dal decreto fiscale dell'anno scorso, ma solo per quanto riguarda cartelle esattoriali, rottamazione-ter e saldo e stralcio. Non vale per le pendenze fiscali in essere e, soprattutto, presuppone una certificazione del credito nei confronti della Pa da parte ella Ragioneria dello Stato che deve essere successivamente validata dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione. Il meccanismo non è né automatico né semplice.
Secondo gli ultimi dati Eurostat, i debiti commerciali di sola parte corrente delle Pa italiane sono aumentati dai 44 miliardi del 2016 ai 47,4 miliardi dell'anno scorso. I ritardi, poi, sono biblici tenuto conto che la legge obbliga al saldo in 30 giorni (60 giorni per la sanità). La piattaforma dei crediti commerciali della Ragioneria generale evidenzia i record negativi: 73 giorni per le Regioni (Basilicata), 320 per i Comuni (Napoli) e 167 per le aziende sanitarie (Asl Napoli). Per quanto riguarda i ministeri, ricorda la Cgia, i maggiori ritardatari sono le Infrastrutture (ritardo medio di circa 20 giorni), i Beni culturali (34 giorni) e l'Interno (64 giorni).
Con lo split payment, infine, c'è una doppia penalizzazione per le imprese. La norma obbliga le amministrazioni centrali dello Stato a trattenere l'Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all'erario.
Il meccanismo, efficace nel contrasto dell'evasione, ha però provocato molti problemi finanziari agli imprenditori onesti, cioè «la quasi totalità delle imprese che lavora per la Pa», rimarca la Cgia, perché il corrispettivo Iva da versare successivamente consentiva di fronteggiare nel breve periodo le necessità di cassa.Ecco perché la compensazione di crediti e debiti avrebbe una valenza salvifica ma questa richiesta resta sempre inascoltata da uno Stato sprecone che vessa i soliti noti.
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