Lo Stato occupa il mercato e lascia a secco le imprese

Troppi fornitori costretti a lavorare per la Pa, che se ne approfitta. Ha debiti per 46 miliardi e continua a farne

Lo Stato occupa il mercato e lascia a secco le imprese

L' ultimo studio della Cgia di Mestre offre una rappresentazione drammatica del rapporto tra aziende e Stato. Utilizzando i dati contenuti nel Documento di economia e finanza 2017, l'Ufficio studi degli artigiani mestrini ha stimato intorno ai 46 miliardi di euro quanto le amministrazioni devono ai loro fornitori privati.

Tra le cause di questa oggettiva disfunzione ne sono individuate sei: dalla mancanza di liquidità del committente ai ritardi intenzionali, dall'inefficienza degli uffici pubblici alle contestazioni; per non parlare delle esplicite richieste dell'amministrazione a ritardare fatture e stati di avanzamento, o addirittura della pretesa di avere tempi di pagamento superiori a quelli fissati dalle normative.

Siamo insomma di fronte a uno «Stato-lumaca», come lo bolla lo studio. La situazione, però, è perfino peggiore, dato che questo ritardo dei pagamenti ci obbliga a constatare quanto sia squilibrato il rapporto tra privato e pubblico nell'Italia del 2017.

Nessuna impresa, in effetti, dovrebbe essere interessata a lavorare per un pagatore tanto scorretto. In una società sana, un simile ammontare di pagamenti arretrati sarebbe impensabile, perché le imprese private smetterebbero di cercare commesse statali e, di conseguenza, lo Stato dovrebbe imparare a comportarsi meglio. Ma perché in Italia tutto questo non succede? Il guaio è che, da noi, la quota di economia controllata dallo Stato ha raggiunto dimensioni tali che quanti vogliono lavorare (se non hanno la fortuna di trovarsi in settori assai particolari) non possono fare a meno di avere rapporti con il pubblico. In un Paese largamente collettivizzato quale è il nostro è difficile prescindere da tutto il denaro che le amministrazioni intermediano.

Di fronte alle «prassi inique» di questi pagamenti tanto ritardati non vi sono, allora, soluzioni di ordine tecnico: anche perché quello che in questa direzione si poteva fare lo si è già fatto, senza grandi risultati. Come ha sottolineato Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia, da qualche tempo le aziende che operano per lo Stato sono obbligate a emettere la fattura elettronica, la quale transita in un sito gestito dal ministero dell'Economia che poi la gira alla struttura specifica. In teoria tutto dovrebbe essere più chiaro e più rapido, ma nei fatti non è così.

Lo studio evidenzia anche un altro elemento: il contrarsi del credito che le banche destinano al sistema produttivo. Nonostante tassi di interesse mai così bassi, da marzo 2016 a marzo 2017 gli impieghi bancari destinati alle imprese sono scesi di 13,4 miliardi di euro. Le stesse aziende che vantano sempre più crediti con lo Stato oggi hanno quindi più difficoltà a ottenere credito. E questo perché le banche devono comprare titoli di Stato e provare a rinviare il collasso della finanza pubblica. Il Leviatano che non dà alle imprese quanto loro spetterebbe è lo stesso che assorbe una grande quantità di risorse che il sistema produttivo vorrebbe utilizzare per creare ricchezza e posti di lavoro.

Non rimane allora che indirizzarsi verso un coraggioso ridimensionamento del settore pubblico.

Quando le amministrazioni statali saranno di meno e saranno costrette a competere con soggetti privati, le aziende che oggi soffrono per i mancati pagamenti avranno di fronte a loro alternative: non accetteranno di lavorare per chi non paga in tempo e pretende condizioni di favore.

«Più privato e meno Stato» può significare anche un'amministrazione pubblica meno arrogante, meno inefficiente, meno incivile.

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