A Vienna, «sul bel Danubio blu», non si suonano i valzer di Strauss ma la solita brutta musica cui ci stiamo ormai abituando: nessun riferimento a robaccia tecno o simile, bensì allo spartito composto dagli elettori di tanti Paesi europei prima e dai loro rappresentanti politici poi, in questi mesi convulsi. Lo abbiamo già visto in Francia, in Olanda e in alcuni Laender della Germania orientale, con variazioni sul tema che poco tolgono alla sostanza comune: la destra ultranazionalista (etichettata anche, meno correttamente, come sovranista o populista) conquista o avvicina di molto una maggioranza relativa che mai aveva conseguito, si autoproclama vincitrice senza esserlo, infine finisce relegata all'opposizione dopo che i partiti di centro e di parte della sinistra hanno trovato un accordo di «coalizione democratica» contro di essa.
In Austria, ieri, identica storia. Il partito liberale FpOe (ma anche qui sarebbe meglio tradurlo come «partito della libertà», perché di liberale non ha proprio nulla) collocato all'estrema destra dello spettro politico, ostile all'immigrazione straniera fino a promettere la cacciata degli indesiderati in stile Donald Trump, anti ucraina e filo russa come e peggio del vicino ungherese Viktor Orbán, consegue il miglior risultato della sua storia toccando il 29 per cento dei voti. Si lascia indietro di qualche punto democristiani e socialdemocratici che però, insieme, superano il 47 per cento. E molto più indietro ancora i liberali (veri) e i verdi, entrambi attestati tra l'8 e il 9 per cento.
Uno choc per la tranquilla Austria, che nella sua storia post 1945 non aveva mai visto l'ultra destra al primo posto in un'elezione legislativa. Dopodiché, per stare a una metafora molto austriaca, il leader della FpOe Herbert Kickl con i suoi 57 seggi su 183 ci può fare la birra. Perché nessun altro partito è disposto ad allearsi con lui, e glielo avevano detto chiaro e tondo ben prima delle elezioni. E perché alle viste c'è già la solita Grosse Koalition tra democristiani e socialdemocratici, eventualmente allargabile a uno dei due partiti minori. Fine della storia, anche se su questa impennata della destra nazionalista austriaca ci si ricameranno drammatizzazioni e forzature mediatiche per chissà quanto tempo.
Assisteremo, a Vienna come già a Parigi, ad Amsterdam, in qualche capoluogo della ex Ddr e di riflesso anche a Berlino, al consueto teatro. A destra si strillerà al tradimento della volontà popolare, fingendo di ignorare che il 71 per cento di chi è andato alle urne si è ben guardato dal votare per il presunto vincitore di ieri.
A sinistra si enfatizzerà il dovere di salvare la democrazia erigendo un muro di contenimento contro la destra nazistoide, fingendo di non sapere che se questa cresce è perché le si è colpevolmente lasciato il monopolio di alcune affermazioni di buon senso comune, che essa tipicamente declina accanto ai suoi peggiori deliri.Ognuno, insomma, se la canterà e suonerà come più gli aggrada. Rimane il fatto che, anche nella già Felix Austria, di buona musica politica se ne ascolterà sempre di meno.
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