È stato confermato anche in Cassazione l'ergastolo per la strage di Bologna a Gilberto Cavallini, l'ex terrorista dei Nar che aiutò Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini (già condannati al carcere a vita in via definitiva), prima e dopo l'attentato in cui il 2 agosto del 1980 morirono 85 persone. Nei tre gradi di giudizio Cavallini è stato considerato il «quarto uomo», colui che ospitò gli esecutori materiali nella sua casa a Villorba di Treviso prima della strage e procurò loro documenti falsi e un'auto.
Attualmente in regime di semilibertà, dopo aver assistito all'udienza ieri è tornato in carcere a Terni. In aula anche decine di familiari delle vittime, molti dei quali non hanno trattenuto le lacrime alla lettura della sentenza. Nonostante abbia sempre negato il suo coinvolgimento, Cavallini era stato già condannato all'ergastolo in primo e secondo grado per quella che i giudici hanno definito nelle sentenze una «strage di Stato», parlando del ruolo dei Nuclei Armati Rivoluzionari «compromessi con i servizi segreti». Le vicende giudiziarie sono state complesse e tortuose, ostacolate da continui depistaggi, ma nel tempo le indagini hanno stabilito che a piazzare la bomba furono i terroristi neofascisti, con la copertura dei vertici della P2 dei servizi segreti militari.
Il sostituto procuratore generale della Cassazione, Antonio Balsamo, aveva chiesto di respingere il ricorso, ritenendo del tutto «inconcludenti» le critiche mosse dalla difesa, che ha cercato di fare leva sul fatto che non ci sono prove della presenza fisica di Cavallini a Bologna il 2 agosto e della sua attività di detenzione e di preparazione del congegno esplosivo. «Questo giudizio rappresenta un'importante occasione per dare attuazione a quel diritto alla verità che ha ricevuto un forte riconoscimento da parte delle Nazioni Unite, della Corte europea dei diritti dell'uomo e della nostra Corte Costituzionale», ha detto Balsamo davanti ai giudici della prima sezione penale della Cassazione citando le parole con cui si apre la sentenza impugnata («La ricerca della verità completa è un dovere che non si estingue, a prescindere dal tempo trascorso. È in gioco la credibilità delle istituzioni democratiche»), tratte dalla dichiarazione che fece il presidente Mattarella nel 2023 durante la cerimonia per il 43° anniversario della strage. Per il pg c'è «certezza assoluta sulla responsabilità di Cavallini» per «il più grave atto terroristico compiuto in Italia dopo la seconda guerra mondiale, in quel micidiale e si spera irripetibile humus nel quale convergevano Servizi deviati, P2 e parte dell'eversione nera allo scopo, evidentemente comune anche se per motivi forse differenti, di destabilizzare ed infine distruggere l'assetto democratico e costituzionale dello Stato Italiano».
L'avvocato Gabriele Bordoni ritiene carenti le motivazioni delle varie sentenze: «Mettono in relazione il fatto di strage con condotte arcinote dell'ex Nar che possono essere al massimo riconducibili a un'azione di banda armata a supporto di altri».
Nei vari processi il legale ha sempre cercato di dimostrare che «essere sodali non significa avere partecipato ad un reato». Non per i giudici, che hanno condannato il «quarto uomo» con compiti logistici alla stessa pena già inflitta agli esecutori materiali.
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