La strategia degli Usa per far cadere Teheran: "Siamo pronti a trattare"

Washington apre ai colloqui, ma in realtà è un invito alla resa. Di un regime mai così debole

La strategia degli Usa  per far cadere Teheran: "Siamo pronti a trattare"

Bellinzona è stata dai tempi degli antichi romani una città di traffici e diplomazie: da là, in Svizzera col ministro degli esteri Ignazio Cassis, che ha già fatto da ponte al regime iraniano, il segretario di stato americano Mike Pompeo ha dichiarato che «gli Usa sono preparati a impegnarsi in conversazioni senza precondizioni. Siamo pronti a sederci coi leader iraniani». L'interpretazione di questa offerta è stata tuttavia subito indirizzata sulla strada della cautela diplomatica: «Il nostro sforzo però è quello di rovesciare una volta per tutte la malefica attività di questa forza rivoluzionaria, della Repubblica Islamica». «Prima cambiate atteggiamento», la replica di Teheran.

L'annuncio di Pompeo ha quindi l'apparenza di un invito alla resa: la repubblica islamica è in difficoltà come non mai, i prezzi del cibo sono stati maggiorati negli ultime settimane del 50 per cento; la conferenza economica che sta per aver luogo nel Bahrain con la presenza di tutti i Paesi Arabi incluso il vecchio amico degli Ayatollah e sostenitore miliardario di svariati suoi alleati, fra cui Hamas, oltre al sostegno dell'economia palestinese e quindi del «piano del secolo» di Trump, ha come obiettivo un accordo di ferro contro l'imperialismo iraniano in Medio Oriente. Le ripristinate sanzioni americane e in parte anche europee hanno peggiorato drammaticamente l'economia ferita a morte del regime, mentre un fiume di finanziamenti seguita a correre nelle mani delle Guardie della Rivoluzione che puntano il futuro della Repubblica Islamica sulla forza incuranti della disapprovazione di parte dell'establishment: tale forza si esercita nella presenza militare e ideologica sciita in Siria (ieri di nuovo Israele ha colpito, rispondendo a due missili sparati dalla zona, obiettivi militari di certo legati all'Iran nell'area di Damasco), in Iraq, in Yemen, in Libano e naturalmente nella ricostruzione sotterranea del potere nucleare. Trump ha annunciato poco tempo fa tramite il suo consigliere per la sicurezza John Bolton il dispiegamento della portaerei Lincoln con tre destroyers e altre navi da guerra, mentre tornano in Medio Oriente una batteria di missili antiaerei Patriot e una nave anfibia carica di marines. Tutte risposte alla minaccia alle forze americane nella regione e ai suoi alleati. Gli Usa hanno anche preso molto sul serio la minaccia iraniana di far compiere un salto in avanti all'arricchimento dell'uranio per la bomba atomica dopo che gli Usa (e non l'Unione Europea) hanno cancellato l'accordo del 2015.

Di fatto, dunque, Pompeo non si allontana proponendo l'azzeramento e un nuovo inizio dalla impostazione di Trump che vuole costringere l'Iran a rinegoziare da capo non solo il trattato ma la sua intera impostazione strategica. Ancora due giorni fa in piazza a Teheran di nuovo il regime ha trascinato una grande folla munita di pupazzi di Trump e di Netanyahu, di bandiere americane e israeliane da bruciare, mentre urlava morte e distruzione. A Beirut ieri, il capo degli hezbollah Hassan Nasralla, ha riempito le piazze di rauche grida di minaccia avvertendo che se l'Iran verrà attaccato (e si intende o da Trump o dal suo alleato israeliano) Israele verrà colpito dalle centinaia di migliaia di missili precisi forniti dagli ayatollah. Delle parole così aggressive e dirette, seguite ieri nel giorno di Gerusalemme da scontri coi palestinesi alle Moschee in un clima sempre surriscaldato, non fanno pensare davvero che la profferta di pace di Pompeo abbia altra funzione che quella di sottolineare lo stato di tensione fra Usa e Iran, e anche fra Israele e Ayatollah e offrire alla parte debole il modo di uscirne.

Sembrano una mano tesa al di sopra della paura che di certo attanaglia il cittadino iraniano prigioniero di un regime dominato dalla forza delle Guardie Rivoluzionarie e dai loro sogni islamisti di una rivoluzione mondiale in cui il Mahdi arriverà suo cavallo bianco su un cumulo fumante di rovine mondiali.

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