La strategia di Mattarella: ora ricomporre il puzzle

Quirinale freddo sull'ipotesi di voto anticipato. E sulla legge elettorale spunta la "bozza" Verdini

La strategia di Mattarella: ora ricomporre il puzzle

Roma - Dopo di me il diluvio. Nella versione di Renzi è diventata una litania: mi-dimetto-non-mi-dimetto. Assurta a vittimistico ricatto, a terrorismo mediatico, poteva davvero avere effetti terribili sui mercati. Fortuna che sia difficile credergli (anche su questo).

Vista dalla prospettiva del Quirinale,la realtà del dopo-referendum è assai più serena. «Si usa la paura di una crisi finanziaria per rubare la libertà agli italiani - ammoniva qualche giorno fa un saggio D'Alema - Ricordo che la governabilità dipende da Mattarella, non da altre circostanze». Le prime cose che saltano all'occhio sono così che l'attuale capo dello Stato è ben diverso da chi l'ha preceduto (altra fortuna), e che anche Renzi è ben diverso da molti predecessori (somma sfiga). Ne consegue che Mattarella continuerà a usare sobrietà e moral suasion qualunque sia l'esito del voto e che il premier sa di tenere in mano il pallino a prescindere. Solo qualora fosse sommerso da una valanga di No, il destino potrebbe coincidere con la fiaba che ci ha narrato: il ritorno a casa, la rinuncia monastica, l'orticello come bene rifugio di un placido Coriolano scornato. Troppo bello per essere vero, però, perché anche in quel caso, il boccino resta al Pd, partito di maggioranza relativa. Si aprirebbe una resa dei conti interna, ma sarà pur sempre il segretario Renzi, nel frattempo, a indicare al Quirinale il nome di una delle sue controfigure (Calenda, Delrio, Padoan) per un governo transeunte.

Ciò che non può sfuggire al Colle è però che non sussiste alcun obbligo di dimissioni dopo un referendum. La maggioranza, poi, resta tale e quale. «Non è un caso tipo governo Dini o Monti, quando pezzi di maggioranza misero in crisi l'esecutivo», si ragiona sul Colle. Il leader pidì potrebbe spingere per le Politiche solo in caso di trionfo, per capitalizzare il consenso. Ma non è affatto sicuro che Mattarella le conceda: ora che hai anche la legittimazione di un voto plebiscitario, gli sarebbe suggerito, accontentati e naviga senza scossoni, sereno, fino al 2018.

Gli scenari di una vittoria per pochi voti del Sì o del No sono invece simili. Nel primo caso, tutto continua come oggi e, anzi, si potrebbe provare a conciliare gli interessi di Pd e Pdl attraverso modifiche mirate all'Italicum: no al ballottaggio e riduzione del premio di maggioranza, che diverrebbe di coalizione. Anche perché il presidente Mattarella si appresta a diventare il crocevia di una ricomposizione nazionale, in virtù degli attestati di merito che tanto Renzi che Berlusconi gli hanno rivolto: «Un galantuomo, una valvola di sicurezza per momenti delicati», ha detto il primo; «Abbiamo estrema fiducia in lui, nel suo buonsenso e nella sua prudenza che ammiriamo, come persona non lo abbiamo mai discusso», ha chiarito il secondo. Emerge in modo chiaro che un «governo tecnico», ipotesi che esisteva solo nella propaganda di Renzi, mai ci sarà. E che uno scioglimento delle Camere è traguardo quasi impossibile. Quel che si ventila, in caso di vittoria del No, è piuttosto il rinvio alle Camere di Renzi se s'intestardisse nell'atto formale di dimissioni.

A «cambiare verso» sarà la legge elettorale: Verdini ne avrebbe già pronta una bozza e ci potrebbe essere persino la «sorpresa» di un ritorno all'impianto del Mattarellum, magari con un ritocco della percentuale tra collegi uninominali e quota proporzionale (50 e 50 per cento). Quasi un «omaggio» all'attento ruolo di garanzia ed equilibrio dimostrato, fin qui, dal presidente.

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