"Studi scientifici da spazzatura stanno condizionando i governi"

Il docente a Philadelphia: boom di ricerche senza alcuna evidenza e prive di valore statistico. Le autorità stiano attente

"Studi scientifici da spazzatura stanno condizionando i governi"

«Studi scientifici spazzatura che orientano anche le scelte dei governi in materia di salute e contenimento del virus». É una denuncia pesante quella messa sul tavolo da Enrico Bucci dell'Associazione Luca Coscioni e Adjunct Professor presso la Temple University di Philadelphia. L'esperto avverte: dobbiamo aspettarci la ripresa di focolai epidemici in territori che ne erano usciti. Anche perché «la comunicazione scientifica è in crisi» sono molti «gli studi di cattiva qualità basati su un insufficiente potere statistico» ma che vengono ugualmente «usati dalle autorità che supportano uso di soluzioni come la clorochina», in riferimento alle scelte del presidente Usa, Donald Trump.

Professore anche in Italia sono state fatte scelte sulla base dei consigli di cattivi maestri?

«C'è il caso Avigan, bufala inventata da uno youtuber, che ha portato a sperimentazioni e alla contemporanea richiesta di autorizzazione all' Aifa, l'Agenzia del Farmaco, senza supporto di evidenze solide sull'efficacia contro il virus, se non uno studio cinese prima ritrattato e poi sospeso».

Perché in questa emergenza proliferano fake news e studi di basso livello?

«L'attenzione suscitata dall'epidemia Covid 19 sta portando all'abbassamento dello standard di qualità del prodotto. Circolano informazioni false: è peggio che non avere informazioni. Ho esaminato migliaia di database di pubblicazioni scientifiche da gennaio sul Covid: oltre la metà delle pubblicazioni è fatta di editoriali e lettere. Non da articoli scientifici classici. Si parla di veicolazione in aria del virus, di propagazione negli animali domestici, su assunti che non hanno evidenza scientifica».

Quindi? Come orientarsi?

«Le autorità devono prendere atto che i dati certi sono pochi. Si devono proseguire le analisi ed essere pronti a riesaminare le conoscenze in modo rapido per orientare le scelte. Al momento ci vuole onestà: mi rendo conto che si devono fare delle scelte ma allora si dica che non ci sono evidenze scientifiche e che le poche a nostra disposizione sono fragili».

Ma ci sono invece studi dai quali possono arrivare risposte concrete contro il Covid 19 in tempi non troppo lunghi?

«Certamente abbiamo buone prospettive che derivano dagli studi sulle molecole. I primi dati che emergono dal trial sul trattamento con l'antivirale Remdesivir sono molto promettenti. A fine aprile avremo i risultati».

Dalla scarsa conoscenza si generano confusione e indicazioni contraddittorie come nel caso delle mascherine?

«Ma certo. Si dice che sono necessarie soltanto per i soggetti infetti. Ma se la maggioranza dei contagiati non è riconoscibile perché non ha sintomi è evidente che le dobbiamo indossare tutti per proteggere gli altri: potremmo essere positivi senza saperlo».

E sui tamponi?

«Occorrono test validati a livello nazionale che devono essere eseguiti subito sulle categorie a rischio e gli operatori sanitari. Si deve procedere in modo organico e confrontabile».

Sulla base dei pochi dati che abbiamo quando si potrà cominciare ad allentare il contenimento?

«Gli unici dati che abbiamo sono quelli che arrivano da altri paesi in una fase più avanzata dell'epidemia per una durata di due mesi, quindi per noi il punto di inizio per una fase 2 si collocherebbe a metà maggio. Ma attenzione ci sono molte incognite. Il contagio zero non esiste dunque si potrà parlare di metà maggio prima di tutto se non si accenderanno nuovi focolai in altre regioni e con il supporto di trattamenti testati ed approvati».

Quali precauzioni si dovranno mettere in atto?

«Non si potrà riaprire se non saremo pronti. Essere pronti significa aver messo in piedi un sistema di monitoraggio rapidissimo in grado di identificare ed isolare possibili nuovi focolai. Poi un sistema di tracciamento per tutti i contatti dei positivi.

E gli ospedali devono essere dotati di un protocollo pronto ad attivarsi subito con tutto quello che serve: i dispositivi di protezione individuale, i reparti di terapia intensiva. Insomma il sistema costruito nell'emergenza non deve assolutamente essere smantellato».

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