E poi venne il giorno dello «stupore», un sentimento forte che forse si può tradurre con fastidio, se non proprio come una vera arrabbiatura. Stavolta si, Sergio Mattarella è davvero seccato. Ce l'ha con il Pd, con i suoi giochini, con il tentativo di trattenerlo al Quirinale e di fargli cambiare «la nota opinione», confezionando una legge ad hoc, una riforma costituzionale che cancelli la rieleggibilità e il semestre bianco. Eppure, non sono questi i due ritocchi che, a oltre settant'anni dalla nascita della Repubblica, il capo dello Stato ritiene fondamentali per il buon funzionamento dell'istituzione? Non è la «precondizione» politica che qualcuno, anche vicino a lui, accarezzava per convincerlo ad accettare il bis? Neanche per sogno. Anzi, precisano fonti del Colle, la circostanza che in Parlamento ci si proponga di inserire il divieto di rielezione «conferma» la scelta di lasciare alla scadenza del mandato.
Insomma, Mattarella non vuole essere tirato in ballo. Soprattutto, non vuole che si pensi che sia lui l'ispiratore della legge Zanda. Il disegno di legge del Pd prevede infatti di modificare un paio di articoli della Carta, 85 e 88, e sancire la «non rieleggibilità immediata» del presidente della Repubblica e, contemporaneamente, di abolire il semestre bianco, cioè quel periodo nel quale al capo dello Stato è proibito di sciogliere le Camere. Sulla carta, un'idea geniale, ben vista da buona parte dei costituzionalisti. L'impasse istituzionale si scioglierebbe, Mattarella resterebbe in carica, Mario Draghi continuerebbe a governare e le elezioni anticipate sarebbero scongiurate. Ma, Houston, abbiamo un problema. Abbiamo un presidente che, citando i suoi predecessori Segni e Leone, da mesi batte sullo stesso concetto: il mio incarico non è rinnovabile. «Siamo una Repubblica, non una monarchia». E a nulla vale il precedente di King George. Napolitano era deciso a lasciare ma, di fronte al blocco del sistema e alla richiesta dei principali leader politici, accettò di restare per spirito di servizio. Può accadere ancora? Per Mattarella no: la prima volta può essere un'eccezione, la seconda diventa una nuova regola non scritta da nessuna parte.
Il Nazareno, che non ha una maggioranza autonoma per imporre un nome e nemmeno un candidato, spera comunque un remake. Mattarella però si è chiamato fuori. Sette anni sono già troppi, figuriamoci 14. E il mandatino a termine, il supplemento, semplicemente non esiste: o si è presidente con tutti i poteri previsti, o non lo si e. Come dire, io non sono disponibile, un principio ripetuto in varie forme in quasi tutte le uscite pubbliche. Dalle parti del Pd pero insistono: tu resti, noi intanto cambiamo la Carta come dici tu. Ma i tempi sarebbero lunghissimi.
Il percorso prevede la rielezione di Mattarella, un anno e mezzo per approvare la legge che, trattandosi di una riforma costituzionale, richiede quattro voti in Parlamento, poi le elezioni politiche del 2023, poi ancora, se e quando riterrà, le dimissioni costituzionalmente motivate del capo dello Stato e alla fine la scelta del suo successore. «Fantascienza», commentano dal Colle. Anche se la data di uscita, il 3 febbraio, è lontana.
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