Roma Dalla Balena bianca alla mappa gialla. Il Regno delle due Sicilie cambia colore in una notte e conferma il fuorionda in cui un esperto vero di voto meridionale come Raffaele Fitto vaticinava agli alleati sorpresi il «cappotto» elettorale a 5 stelle. E ora, in attesa di capire che s'inventerà Roberto Saviano per spiegare il «voto della mafia» (per Saviano la mafia giustifica quasi tutto quello che succede al Sud e parte di quel che accade al Nord) prende quota una spiegazione semplificata, ma certo non campata per aria: la promessa pentastellata di uno stipendio garantito ha avuto, in regioni che ha un tasso di occupazione di quasi 40 punti al di sotto della media europea, un effetto superiore a quello che la prospettiva di pagare meno tasse ha esercitato sulle partite Iva del Nord.
Chi è causa delle sue mancette pianga se stesso: il Pd in questi anni è andato avanti a colpi 80 euro, alimentando l'assistenzialismo, vizio peggiore di una parte del Mezzogiorno e deludendo le speranze della parte più viva, quella che all'elemosina di Stato preferirebbe la dignità delle opportunità. Hai voglia a parlare di redistribuzione della ricchezza dove ricchezza se ne produce sempre meno. Un pezzo d'Italia in cui il treno della ripresina che dall'Europa contagi il Nord appare lontano quanto i treni ad alta velocità. E allora, dovendo affidarsi al doping delle elargizioni, di certo ha preferito agli 80 euro di Renzi gli 800 del reddito di cittadinanza. Tanto sognare è gratis.
E infatti il centrosinistra, incappato in tutte le possibili contraddizioni delle politiche di sviluppo, dal dramma dell'Ilva al pasticcio della Tap, è stato cancellato dalla mappa della politica meridionale. Il governo Gentiloni, dopo le distrazioni toscanocentriche di Renzi, ci aveva provato a ripristinare un ministro del Sud, denominandolo «della Coesione territoriale» ma poi, significativamente, ha candidato a Sassuolo l'uomo chiamato a guidarlo, Claudio De Vincenti (per altro bocciato dalle urne). Clamoroso anche il caso di Massimo D'Alema che, pur giocando in casa nel suo feudo personale del Salento, ha rimediato un indecoroso quarto posizionamento, con un 4% di voti a fronte del 40 della grillina Barbara Lezzi.
Va un po' meglio al centrodestra che riesce a vincere qualche sfida, soprattutto in Calabria. Ma i dirigenti della coalizione dovranno chiedersi se sia stata sufficiente l'attenzione dedicata al Sud, in realtà poco presente nei programmi di tutti i partiti. Chissà se ha pesato anche un eccesso di fiducia determinato dalla netta affermazione alle regionali in Sicilia, che però alle politiche non si è ripetuta. Anche i signori delle preferenze del centro, come lo stesso Fitto e Lorenzo Cesa, hanno riportato una sconfitta che non sembrava prevedibile.
Sull'onda del malcontento, la Lega di Salvini invece ha compiuto una metamorfosi che pareva incredibile. Partendo da percentuali inesistenti, cancellando la magica parola identitaria «Nord», è diventato il partito che ha avuto la maggior crescita percentuale, sia pure partendo da livelli insignificanti di consenso. In Sicilia, ad esempio, la Lega ora partecipa al governo regionale e ha raccolto un 5,5 per cento. Ma è soprattutto il Movimento cinque stelle che ha capitalizzato il frutto di una rabbia sociale incontenibile. Secondo l'analisi dei flussi elettorali, i grillini hanno avuto la forza di strappare elettori a tutti i partiti, ma soprattutto al Pd. Dai dati elaborati dall'Istituto Cattaneo su due collegi campione di Napoli, circa quattro elettori su dieci che nel 2013 avevano votato per il maggior partito della sinistra, in questa tornata hanno messo la croce sul simbolo dell'M5s. In Basilicata, regno della dinastia Pittella, il partito di governo è crollato al 17 per cento, e lo stesso ras Gianni Pittella è stato umiliato dagli ultimi arrivati a 5 stelle. In Sicilia, complice un assenteismo largamente al di sopra della media, il Pd è evaporato e così pure nella Puglia di Emiliano e D'Alema. Ma è soprattutto la Campania la terra dove la creatura di Grillo è stata straripante: oltre il 52 per cento dei voti.
Non è solo la particolare attenzione alla regione provata dal fatto che è campano il candidato premier Luigi Di Maio: che in Campania fosse tempo di masanielli (vedi Roberto Fico che vince con percentuali bassoliniane) era evidente già dai successi di Luigi de Magistris. Che ora gongola e pensa già a un debutto nazionale e a una possibile alleanza. Magari preparando il terreno con l'imminente rimpasto di giunta a Napoli.
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