Suez, allarme di Giorgetti: torna l'incubo inflazione

Il ministro: "Difficile centrare gli obiettivi di Pil se scoppia una guerra al mese". E la Bce fredda le Borse sul costo del denaro

Suez, allarme di Giorgetti: torna l'incubo inflazione
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Dalle montagne di Davos, il Canale di Suez non è poi così lontano. Giancarlo Giorgetti sfrutta il punto di osservazione offerto dal World Economic Forum per una ricognizione ad ampio spettro sui problemi più contingenti, a cominciare dai possibili danni derivanti dagli attacchi delle milizie Houthi. Inflazione e crescita restano elementi d'inquietudine amplificati dal proliferare dei conflitti.

Quasi allarga le braccia, il ministro dell'Economia: «Se scoppia una guerra al mese - dice - sarà difficile», centrare gli obiettivi di Pil. Il tracollo dei transiti in uno snodo fondamentale per le merci come lo stretto di Bab el-Mandeb «preoccupa tutti, anche perché i porti del Mediterraneo sono i primi danneggiati da questi colli di bottiglia». Il rischio è che da un processo «disinflazionistico» si passi a nuovi fenomeni di surriscaldamento dei prezzi. Giorgetti ne ha già parlato coi ministri saudita e qatariota, quest'ultimo uno snodo cruciale poiché «le forniture del Qatar devono passare dal Capo di Buona Speranza per arrivare qui anziché passare da Suez. Questo è un problema anche per l'inflazione: se i costi di trasporto dei noli tornano ad impazzire come tre anni fa, i contraccolpi ci saranno». Le nubi grigie tendenti al nero occupano buona parte dell'orizzonte, senza che la Germania in affanno solletichi un po' d'italica Schadenfreude. Chiarisce Giorgetti: la recessione tedesca è «una cattiva notizia anche per l'Italia perché sappiamo quanta parte dell'economia italiana sia legata alla performance di quella tedesca». D'altra parte, dalla tenuta del Pil dipende anche la tenuta della crescita economica, in un contesto dove gli aiuti della Bce sotto forma di acquisti dei titoli di Stato italiani tendono ad azzerarsi.

È con un occhio rivolto al nostro debito che Giorgetti ha infatti avuto incontri con esponenti della finanza internazionale a margine dei lavori del World Economic Forum. Tutti potenziali compratori della nuova carta che il Tesoro emetterà quest'anno: dal numero uno di Jp Morgan, Jamie Dimon, all'ad di Bridgewater Ray Dalio, fino a Brian Moynihan, numero uno di Bank of America. Sempre che la burrasca non aumenti a Suez, qualche sollievo sul fronte del debito potrebbe però arrivare da un taglio dei tassi. «Prima arriva meglio è - sottolinea il ministro - Sarebbe una buona notizia per tutti anche per le famiglie con mutuo, per le imprese che devono investire». Peccato che ieri, sempre da Davos, Christine Lagarde abbia spedito una cartolina gelida come una sentenza: la prima sforbiciata arriverà solo dopo giugno. «Direi che è probabile, ma dobbiamo essere cauti perché continuiamo a dipendere dai dati», ha detto la presidente della Bce. Sparisce così dal tavolo il «turnaround» primaverile e il calendario immaginato da quanti scommettevano su quattro allentamenti del costo del denaro nel 2024 per un totale di 150 punti base.

Sono peraltro proprio i mercati i primi a non crederci più. Lo si capisce dalle picconate tirate ieri al muro di aspettative tirato su nelle ultime settimane. Prima che l'ex Fmi parlasse, i mercati avevano pienamente prezzato un calo dei tassi entro aprile, attribuendo una probabilità del 30% a una riduzione in marzo. Dopo le sue affermazioni, le chance sono scese al 95% per un taglio entro aprile e al 20% per una riduzione a marzo.

E mentre lo spread Btp-Bund si è

arrampicato fin quasi a quota 160, il rendimento dei bond tedeschi a due anni, termometro sensibile della politica monetaria, è salito al 2,63%, ai massimi da inizio dicembre. Un segnale di pessimismo da non sottovalutare.

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