Sui binari si gioca il derby per non perdere voti

I grillini in difficoltà si buttano a sinistra. La Lega dopo il Dl dignità non può arretrare

Sui binari si gioca il derby per non perdere voti

Roma - Molti nemici molto onore. Ricorda da vicino il motto mussoliniano, lo stato d'animo di Matteo Salvini dopo 57 giorni di governo, «in ognuno dei quali c'è stato un attacco violento da parte di qualcuno», lamenta. «Attacchi che non mi toccano di un millimetro, non mi spaventano, non mi intimoriscono».

Ma se l'effetto degli attacchi esterni finisce per essere quello di consolidare il ministro leghista, anche davanti all'opinione pubblica, diverso è il discorso se ci si sposta sul fronte interno. Quello che più preoccupa Salvini in quanto tocca i delicatissimi equilibri di una maggioranza che si regge come un muretto a secco, senza collante. Ovvero che lo cerca nel quotidiano sciame di colpetti bassi, dal sottosuolo, nell'estenuante guerriglia fatta di piccoli agguati e offensive mediatiche reciproci, sempre con un occhio alla popolarità e un altro alla responsabilità di governo, ai vincoli dei trattati Ue o, semplicemente, dei conti pubblici. È in questa intricata trama da giungla che va inquadrata l'ultima buca apertasi ieri, quando il ministro dell'Interno, dopo aver potuto facilmente prendere posizione in favore delle forze dell'ordine sugli scontri con gli antagonisti in Val di Susa, ha dovuto chiarire che sulla Tav «occorre andare avanti» e fare «l'analisi dei costi-benefici, il ragionamento che va fatto per ogni opera, mentre la polizia continuerà ad arrestare chi lancia sassi contro i lavoratori». Ma se il ruolo al Viminale è la trincea dietro la quale Salvini può riparare senza danni, è quando si spinge su altri terreni che riemerge il tema dominante delle dinamiche in un esecutivo senza alternative, con oltre 60 italiani su cento a favore, e dunque impossibile da far cadere, almeno fino a quando durerà la luna di miele (dicembre?). Stare con i grillini, dopo le prime settimane nelle quali Salvini ha potuto scorrazzare liberamente sulle praterie populiste, si sta dimostrando ora più difficile del previsto.

Anche perché i Cinque stelle soffrono l'ingombrante alleato e la base elettorale chiede a gran voce lo stop immediato a Tav, Ilva di Taranto e Tap. Se in Puglia (tra penali e perdita di occupazione) è difficile pronunciare un no definitivo, per la Val Susa tutto è meno complicato. Di qui la folle idea del duo Di Maio-Toninelli. L'offensiva è stata accolta nel quartier generale leghista con stupore e irritazione per adesso priva di sbocchi. Perché la corda mediatica può essere tirata, ma senza mai indebolire troppo gli equilibri di governo. Tra la Bonfrisco, Calderoli e gli altri deputati consci che la linea del Carroccio è sempre stata quella del «sì» alla Tav e alle altre Grandi opere, è montata la protesta. «Ma come, Di Maio se ne esce fuori così senza averlo concordato?», han chiesto. E Salvini ha dovuto ammettere che le telefonate e i messaggini con il suo alter ego grillino sono intercorsi, ma che l'argomento Tav non era stato sfiorato. Nel frattempo, si faceva strada la voce che all'origine del colpo di testa ci sia un sondaggio riservato, che dimostra come il consenso ai 5Stelle fatica molto, in relazione alle tre grandi questioni Tav-Ilva e Tap.

Così che, uscirsene sul «no» alla prima battaglia storica, avrebbe consentito maggiore libertà d'azione sulle altre. Vera o no che sia la ricostruzione, è sempre una gran fatica andare avanti, se hai le spalle scoperte. Si sa, col fuoco amico si può persino restarci secchi.

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