«La stiamo valutando». Così Joe Biden ha risposto, durante la cerimonia con cui ha accolto il premier giapponese Fumio Kishida, alla domanda urlata da un giornalista riguardo alla richiesta dell'Australia agli Stati Uniti di mettere fine all'azione penale nei confronti di Julian Assange. Quando la questione era stata sollevata, la scorsa estate, durante una riunione dei ministri Esteri e Difesa dei due Paesi, gli Stati Uniti non l'avevano accolta, sostenendo, era stato riportato allora, che il fondatore di Wikileaks, diffondendo i documenti segreti relativi alle guerra in Afghanistan e in Iraq, aveva rischiato di provocare danni molto gravi alla sicurezza nazionale Usa. Lo scorso febbraio, poi, il Parlamento australiano ha approvato una mozione in cui si chiede a Stati Uniti e Regno Unito (dove Assange è detenuto dal 2019, dopo essere rimasto rifugiato per sette anni nell'ambasciata dell'Ecuador che gli aveva concesso l'asilo) di scarcerare il fondatore di Wikileaks, che è cittadino australiano, permettendogli di tornare il patria. La mozione è stata sostenuta dal premier laburista Anthony Albanese che da quando si è insediato nel 2022 chiede che la vicenda di Assange arrivi a una «conclusione», e ha sollevato la questione con Biden durante la sua visita a Washington lo scorso ottobre. La parole di Biden arrivano dopo che, il 26 marzo, l'Alta Corte di Londra ha concesso ad Assange la possibilità di un ulteriore appello contro l'estradizione negli Usa, fissando la nuova udienza per il 20 maggio.
Inoltre, è stato chiesto a Washington di presentare entro tre settimane nuove garanzie sul fatto che, in caso di estradizione, i diritti del giornalista accusato di spionaggio saranno rispettati e che, in particolare, non rischierà la pena di morte.
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