L'ultimo G7 dei ministri degli Esteri a guida italiana si è aperto ieri in Ciociaria, tra le cittadine di Anagni e Fiuggi, superblindate per l'occasione.
A dominare la due giorni di incontri collegiali e bilaterali sono le guerre d'Ucraina e Medioriente. All'ora di pranzo arrivano, accolti dal titolare degli Esteri italiano Antonio Tajani, lo statunitense (in uscita con Biden) Antony Blinken, la tedesca Annalena Baerbock, il francese Barrot, il giapponese Iwaya. E ancora il britannico David Lammy, la canadese Melanie Joly, l'Alto rappresentante Ue Josep Borrell. «L'unità - ricorda Tajani - è la nostra forza». Davanti alla crescente minaccia della Russia a Est, come davanti alla crisi mediorientale, per la quale sembra aprirsi un primo spiraglio di tregua sul fronte libanese, che potrebbe essere ufficializzato già oggi: «Forse siamo vicini. Servono accordi definitivi, ma siamo fiduciosi», dice il titolare della Farnesina. Che infatti, per la seconda sessione di colloqui, ha allargato il tavolo ai rappresentanti del Quintetto arabo (Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Giordania e Egitto): «È molto importante per il G7 aprire le porte ad alcuni nostri grandi amici del Medioriente: il dialogo è essenziale se vogliamo fermare la guerra». Se un accordo sul cessate il fuoco in Libano sarà trovato, assicura Tajani, «l'Italia è pronta a fare la sua parte e ad avere un ruolo da protagonista» sul teatro, anche nel «sorvegliare la sua applicazione», collaborando a costruire un «doppio cuscinetto» sul confine, con Unifil da una parte (ma con «regole di ingaggio diverse» che lo rendano meno impotente rispetto agli attacchi di Hezbollah) e «le forze regolari libanesi» dall'altra.
Sul tavolo del G7 resta in primo piano la questione del mandato d'arresto contro Netanyahu e l'ex ministro israeliano Gallant emesso dalla Corte penale internazionale: si lavora a una posizione comune da scrivere in chiaro nel comunicato finale, spiegano fonti del governo italiano. Ma Tajani usa parole piuttosto chiare per esprimere l'opinione dell'Italia: pieno «rispetto» per la Corte, in attesa di «studiare bene le sue motivazioni», perché «le opinioni politiche non devono prevalere sul diritto». Ma «non mettiamo sullo stesso piano chi pianifica un massacro di persone per distruggere Israele e chi si difende, pur con modi che non ci convincono». Occorre «realismo», aggiunge: è con Netanyahu che «si deve trattare per arrivare a una pace», e scelte troppo «velleitarie» servono solo «a prolungare la guerra e dare forza a Hezbollah e Iran». Di certo «il problema non si risolve con un mandato di cattura contro Netanyahu».
Oggi invece sarà presente ai lavori il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha, che avrà incontri bilaterali con Tajani e Blinken tra gli altri. Se Francia e Gran Bretagna, come anticipato ieri da Le Monde, starebbero valutando l'ipotesi di inviare anche truppe a difesa di Kiev e dell'Europa, il ministro italiano dice no: «Non invieremo nessun soldato a combattere in Ucraina», pur continuando a aiutare militarmente Kiev, e additando le «gravi responsabilità» della Russia che cerca l'escalation arruolando nord-coreani e Houthi. Bisogna «portare Mosca al negoziato», ma «pace» non può significare «la resa dell'Ucraina».
Da Berlino, intanto, il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, dal summit d'urgenza con gli omologhi europei dopo le minacce di escalation di Mosca, avverte: bisogna investire per «rafforzare la difesa ucraina» e «il fianco orientale Nato», anche per anticipare il rischio di disimpegno Usa con l'ascesa di Donald Trump.
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