Le tasse che piacciono a Confindustria

Per Boccia le tasse possono pure essere bellissime, ma solo quando gravano sugli altri

Le tasse che piacciono a Confindustria

In linea astrattamente teorica, l'associazione che riunisce le aziende dell'industria dovrebbe difendere la proprietà e il mercato. In Italia, di conseguenza, dovrebbe tuonare contro la tassazione da rapina e la spesa pubblica fuori controllo che stanno letteralmente distruggendo il sistema produttivo.

Come si sa, non è così. E la riprova si è avuta nel discorso di esordio del nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che oltre a dire la sua sul referendum costituzionale (quasi fosse il segretario di un partitino di seconda fila) ha soprattutto invitato il governo a «spostare il carico fiscale alleggerendo quello sul lavoro e sulle imprese e aumentando quello sulle cose». Come a dire che le tasse possono pure essere bellissime, ma solo quando gravano sugli altri.

Perché una tale presa di posizione? Innanzitutto bisogna tenere presente che razza di capitalismo ha ormai l'Italia, dove lo Stato si è dilatato in ogni ambito e lo spazio delle libere relazioni di mercato si è andato restringendo progressivamente. Quando nel 1961 l'Italia cresceva al ritmo del 10% l'industria italiana era fatta essenzialmente da imprese che producevano beni e servizi sul libero mercato e che dovevano competere. Non mancavano nemmeno allora i furbi e gli amici degli amici, ma nell'insieme il boom fu il risultato di dinamiche concorrenziali. Oggi tutto è cambiato e d'altra parte la stessa Confindustria, alcuni anni fa, ha aperto le porte ai colossi del parastato (posseduti dal Tesoro o dalla Cassa depositi e prestiti), che oggi sono tra i suoi soci più influenti. Stando così le cose, sarebbe irragionevole attendersi da Confindustria un'analisi affidabile sui guai dell'Italia.

Nello specifico, chiedendo che si tassino gli altri il presidente di Confindustria ha interpretato una posizione cinica. Lo Stato continui ad aggredire in modo selvaggio le ricchezze degli italiani, ma colpisca altrove. Innalzi l'Iva, ad esempio, e penalizzi ulteriormente le case. Si tratta però di un cinismo fuori tempo massimo, non privo di tratti autolesionistici e figlio di un'incapacità a capire la situazione. Colpire le «cose» non danneggerà forse anche imprenditori e lavoratori? Non sono forse anche loro proprietari e consumatori? Ma c'è anche un'altra considerazione da farsi.

Perfino chi ha realizzato profitti all'ombra dei poteri statali e grazie a finanziamenti, concessioni e altro dovrebbe comprendere che quando un'economia crolla come sta avvenendo da noi pure chi fino a ieri aveva saputo avvantaggiarsi del sistema finisce per essere spazzato via.

È quindi un machiavellismo irragionevole quello di chi s'immagina che si possa aiutare le imprese (o anche alcune di loro) limitandosi a ridistribuire gli oneri: senza mettere in discussione le dimensioni di un prelievo tributario che sta svenando famiglie ed aziende.

Confindustria non vuole difendere la libertà di tutti di fronte al Leviatano: ne prendiamo atto. Sarebbe bene, però, che facesse analisi più affidabili e ne traesse tutte le conseguenze.

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