Dal brodino poco corroborante di giugno al compitino di settembre, con un altro taglio dei tassi che non va oltre il minimo sindacale del quarto di punto e fa calare il costo del denaro (il tasso sui depositi) dal 3,75 al 3,50%. Anche se, nell'ambito del nuovo «quadro operativo» annunciato lo scorso marzo, il tasso sulle principali operazioni di rifinanziamento subisce una riduzione di 60 punti base (dal 4,25 al 3,65%) con lo scopo di sollecitare le banche a prestare soldi a condizioni più favorevoli. In ogni caso, la Bce non osa, resta prudente come chi cammina sui pezzi di vetro e riempie di punti interrogativi il futuro prossimo venturo. Ottobre già incalza: come si comporterà l'Eurotower? «Que sera, sera», risponde Christine Lagarde in versione Doris Day.
Dal «Wathever it takes» di Mario Draghi, Francoforte è insomma passata al fatalismo da canzonetta del «What will be, will be», perfetta sintesi dell'incapacità di esprimere una visione prospettica. «Dovremo continuare a dipendere dai dati, a prendere le nostre decisioni di volta in volta», ha confermato ieri la presidente della banca centrale. Un passo (lento) alla volta necessario per sorreggere l'idea di fondo che i tassi devono restare «su livelli sufficientemente restrittivi» fino a che il target di inflazione del 2% non verrà tagliato. Ovvero, non prima della seconda metà del prossimo anno, a dar retta alle nuove stime che collocano l'inflazione al 2,5% a fine '24 e al 2,2% l'anno prossimo. Seppur i prezzi al consumo siano ormai in ripiegamento da qualche mese (ed è ciò che ha determinato la mossa di ieri), la Bce si comporta come l'ultimo giapponese nelle giungla: vede ancora insidie nascoste dietro i salari, che continuano a crescere a un ritmo sostenuto, e nel possibile colpo di coda dei prezzi dell'energia.
Resta inoltre da vedere se e in che misura impatterà la decisione presa ieri di accorciare lo spread a 15 punti base tra il «pedaggio» versato dalle banche che si finanziano presso la Bce (da ieri, come detto, al 3,65%) e il tasso riconosciuto sui depositi (sceso al 3,50%). L'obiettivo è quelli di sopperire alla minor liquidità in circolazione dopo la rottamazione del piano di quantitative easing di Super Mario e gli acquisti sempre più rarefatti di titoli sovrani come i Btp, ma se il cavallo (le banche) non vuol bere c'è poco da fare. In ogni caso, il modesto allentamento di ieri lascia spazio, nella migliore delle ipotesi, a un ulteriore ritocco complessivo dei tassi di 50 punti base da qui a dicembre.
Le scelte di ottobre potrebbero d'altra parte essere condizionate da come si comporterà la prossima settimana la Federal Reserve. I dati più recenti sul mercato del lavoro Usa sembrano comunque aver tolto dal tavolo l'opzione di una sforbiciata da mezzo punto, un «jumbo-cut» peraltro politicamente delicato ora che la corsa per accaparrarsi le chiavi della Casa Bianca è all'ultimo miglio. Ma ciò che più importa è la ricalibrazione delle priorità da parte dell'istituto di Washington, ora meno preoccupato dal carovita e più attento al deterioramento dell'occupazione per i riflessi negativi sul ciclo economico.
Un cambio di focus che la Bce non vuole fare anche se «i rischi per la crescita economica rimangono orientati verso il basso», ha ammesso Lagarde. Il deterioramento congiunturale ha costretto l'Eurotower a limare dallo 0,9 allo 0,8% le stime di espansione del Pil quest'anno e dall'1,4 all'1,3% quelle del prossimo. È verosimile che la situazione possa peggiorare nei prossimi mesi, ed è proprio per questo che c'è chi, come il vicepremier Antonio Tajani, imputa a Francoforte scarso coraggio: «La Banca centrale deve poter fare di più e credo che si debba modificare il trattato che ha istituito la Bce».
Una modifica
contenuta anche nel rapporto sulla competitività presentato da Draghi a inizio settimana? Non vedo nessun suggerimento in tal senso - la replica di Lagarde - , quello che Draghi ha suggerito sono riforme strutturali. Appunto.
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