L' Iran ha sempre giocato su diversi terreni: basta ricordare come nel periodo in cui con i 5 +1 guidati da Obama trattava con sorrisi e moine il pessimo accordo che il regime degli ayatollah avrebbe acquisito, mentre sviluppava invece dall'altra parte una strategia complessa e belligerante della conquista sciita del Medio Oriente e della costruzione del regime più aggressivo del mondo nei confronti dell'Occidente e di Israele. Da una parte di costruiva la bomba, dall'altro il ministro degli esteri Zarif e la commissiaria europea Mogherini costruivano una magnifica amicizia che dura fino a oggi. Dopo che il presidente Trump ha abbandonato l'accordo nel 2018 e ha applicato sanzioni per riportarlo al tavolo dei negoziati, l'Iran tenta di nuovo il doppio regime: parla con l'Europa per convincerla a circumnavigare le sanzioni, chiede ai giapponesi durante la visita del loro premier Shinzo Abe una mediazione.... ma poi non ce la fa a tenere la faccia da poker della diplomazia.
Lo scontro interno è feroce, l'economia è a pezzi, la fanfara del patriottismo tiene a bada il dissenso, ma non evita mosse scomposte come l'attacco alle petroliere nello Stretto di Hormuz, che può benissimo essere una dimostrazione di forza delle Guardie della Rivoluzione come si vede nel video Usa in cui una barca dei Pasdaran rimuove una bomba sul fianco di una delle petroliere coinvolte, la giapponese Koukuka. L'Iran gioca duro, non vuole ridiscutere l'accordo, si fida della sua chiostra di denti e dei suoi ruggiti: ha a disposizione parecchie mosse di dissuasione rispetto alla possibile decisione americana di difendere «i propri interessi e quelli dei propri alleati», ovvero di fargli guerra. Ma il margine è scivoloso, perché tanto più vasto è il terreno, tanti più sono i poteri in gioco, e durissimo lo scontro interno (Khamenei; Rouhani; il governo; le Guardie della rivoluzione di Suleiman, lanciatissimo nella conquista sciita del Medio Oriente).
L'Iran è una riserva di provocazioni continue, e per quanto Trump sia desideroso di evitare lo scontro diretto, potrebbe a sua volta non farcela a frenare: i sauditi e i loro alleati sunniti sentono il fiato sul collo, si sentono sempre più aggrediti dall'uso degli huti yemeniti contro la loro integrità territoriale, dai bombardamenti alle incursioni. Intanto la prepotenza iraniana, già padrona del Libano, si avventa senza freni su Irak e Siria, tanto che quando Israele bombarda le postazioni iraniane in Siria nemmeno Putin trova da ridire. A fianco dell'imperialismo mediorientale, c'è la diffusione del terrorismo internazionale. Infine l'Aiea, in genere molto cauta, avverte che probabilmente l'Iran ha ricominciato ad accelerare l'arricchimento dell'uranio. E Olli Heinonen, ex vice dg dell'agenzia che abbiamo incontrato in Israele, sostiene che l'Iran potrebbe raggiungere la bomba in 6-8 mesi attivando un certo tipo di centrifughe (IR 15) di cui possiede già un certo numero.
L'Europa finora è rimasta zitta.
Ma dopo l'attacco dell'Oman, anche Die Welt comincia a dire che dovrebbe ritirarsi dall'accordo nucleare, invece di cercare palliativi che reggono in piedi il regime. Il fronte è infuocato, l'Iran resta un problema centrale per tutto il mondo.
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