Gerusalemme Ieri sera l'allarme rosso delle sirene ha risuonato nelle vie in genere piene di vita e di senso di sicurezza di Tel Aviv, i rifugi sono stati aperti, le tv e le radio hanno cominciato una interminabile trasmissione in diretta cercando di calmare i cittadini ma anche di dare indicazioni e ordine: due missili Fajr sono stati sparati da Gaza, uno è caduto in uno spazio aperto, senza feriti o danni; il secondo è stato distrutto in aria dal sistema «scudo di acciaio».
Mentre scriviamo, Netanyahu che è anche ministro della Difesa, è in riunione alla «Kirya», il sofisticato centro della sicurezza israeliana con tutti i consiglieri e i capi militari, e certamente la risposta non potrà essere banale, dato che l'attacco colpisce la vita di Israele in uno dei suoi cuori pulsanti, la sua seconda capitale, come fosse Milano in Italia.
La difesa del Sud del Paese, di consueto sotto mira da parte di Hamas e della jihad Islamica, ambedue sospettati di essere gli autori anche di questa ultima impresa, è stata nell'ultimo anno gestita con molta cautela nonostante tutte le nuove tecniche incendiarie, le aggressioni di massa ai confini, le esplosioni continue, i missili. L'inviato del Qatar che ha portato di nuovo aiuti economici con il permesso di Israele è ancora dentro i confini di Gaza, e così anche un gruppo di mediatori egiziani, tutti interessati a una situazione di calma. Ma evidentemente questo scopo è inottenibile quando si parla di un'organizzazione terrorista che gestisce il potere su base ideologica e religiosa, sussidiata con soldi stranieri, mai impiegati per il benessere della popolazione ma solo in armi e imprese terroristiche, fortemente sostenuta dall'Iran.
Ieri a Gaza si era svolta una rara manifestazione di protesta per la mancanza di lavoro e di cibo, contro la miseria. Hamas l'ha spezzata con ronde armate. Le moschee ha gettato ieri di nuovo tutta la colpa della fame su Israele.
Adesso, è facile il nesso fra la repressione della ribellione interna e la decisione strategica di spostare l'odio su Israele. Più difficile adesso decidere cosa fare.
Di certo, una risposta ci sarà. Intanto da Gaza si viene a sapere che i grandi capi hanno sgomberato case e uffici e che la delegazione egiziana lascia la Striscia e torna al Cairo.Comincia una nuova lunga notte, in piena campagna elettorale.
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