Non c'è solo la legge sul Premierato sul tavolo della Corte Costituzionale. Ben prima di doversi occupare del riassetto del potere esecutivo varato dal governo Meloni, la Consulta è chiamata a decidere la sorte di un'altra riforma-simbolo del centrodestra: la legge sulla autonomia differenziata, la cosiddetta devolution, approvata nel giugno di quest'anno, cara soprattutto alla Lega ma fatta propria dall'intera maggioranza. Intorno alla legge che offre alle Regioni la possibilità di allargare le proprie competenze a gran parte di quelle centralizzate finora a Roma è partita una doppia offensiva: da una parte i referendum promossi da cinque Regioni, tutte governate dalla sinistra, dall'altra i ricorsi alla Corte Costituzionale, firmati da quattro delle Regioni che hanno chiesto il referendum.
È questo davanti alla Consulta il primo scoglio su cui rischia di andare a sbattere la devolution, nell'udienza fissata per il 12 novembre. Sono giorni intensi per gli staff legali delle Regioni e del governo, costituito in giudizio a difesa dell'autonomia differenziata, che si preparano a produrre nuove memorie a sostegno delle proprie tesi.
Lo scontro si annuncia frontale, una bocciatura da parte della Consulta della riforma governativa verrebbe sventolata dalle sinistra come una vittoria epocale. Come andrà a finire è difficile dirlo. Ma un dato è certo: la fissazione dell'udienza per il 12 novembre fa sì che a presiedere la Corte quel giorno sarà ancora Augusto Barbera, il giurista siciliano che appena un mese dopo, il 16 dicembre, dovrà lasciare l'incarico. Quella sulla devolution sarà quasi certamente l'ultima sentenza importante firmata da Barbera. Da un costituzionalista, cioè, di indiscutibile livello accademico, docente universitario, autore di pubblicazioni fondamentali. Ma anche il più targato politicamente di tutti i componenti della Corte, essendo stato ininterrottamente per la bellezza di diciott'anni e di cinque legislature deputato per il Pci e poi per il Pds, nonché ministro nel governo Ciampi, sempre su designazione del partitone della sinistra. Di riforme istituzionali e di Regioni, Barbera si è occupato in profondità, come presidente della commissione parlamentare per le questioni regionali, e come membro della Bicamerale negli anni Ottanta e Novanta: sempre a nome del partito che oggi è il principale oppositore della riforma che Barbera è chiamato a giudicare. E lo stesso Barbera ha ricordato recentemente che, in caso di spaccatura tra i giudici costituzionali, il suo voto varrà doppio.
I ricorsi che la Corte dovrà valutare sono firmati dai presidenti di Sardegna, Campania, Puglia e Toscana: tutti (con l'eccezione della grillina sarda Alessandra Todde) militanti del partito di cui Barbera è stato esponente di spicco. Nel ricorso più corposo, quello della Regione Puglia, si chiede che la legge sulla devolution venga dichiarata illegittima per intero, o almeno in buona parte dei suoi articoli, per violazione dell'articolo 116 della Costituzione, quello che ha aperto la porta nel 2001 all'autonomia differenziata, ma che sarebbe stato ampiamente travalicato. Nei ricorsi si leggono toni cari alle opposizioni di sinistra, si parla di «una frammentazione insanabile dell'ordinamento giuridico della Repubblica», si afferma che «la frattura dell'ordinamento nazionale unitario si riverbererebbe in maniera decisiva sulla pari dignità sociale dei cittadini».
Davanti ai rischi paventati dalle Regioni rosse come si comporterà la Corte presieduta da Barbera? Potrebbe, in teoria, scegliere di dichiarare incostituzionali solo alcuni articoli della riforma. Ma contro gli altri articoli resterebbe in piedi il referendum, il «piano B» di chi si oppone a tutti i costi alla devolution.
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