Il terrorista Abu Omar fa il macellaio al Cairo e l'Italia lo lascia libero

Condannato, e per i servizi è pericoloso. Grazie agli accordi con l'Egitto l'estradizione sarebbe possibile, ma Roma non la chiede

Abu Omar, ex predicatore a Milano
Abu Omar, ex predicatore a Milano

Milano - Il latitante meno ricercato del mondo se ne sta tranquillo a casa sua. É un latitante che in Italia è diventato famoso, perché ha dato il suo nome al caso più importante di scontro tra giustizia, politica e servizi segreti sul tema cruciale della lotta al terrorismo. Si chiama Abu Omar, ed era il predicatore estremista della moschea milanese di via Quaranta. Una squadra di agenti della Cia lo rapì a Milano nel febbraio 2003 e lo consegnò all'Egitto: quali e quante complicità i nostri apparati di polizia e di intelligence abbiano fornito al sequestro, maldestramente organizzato dagli americani, non si saprà mai con certezza, perché sull'intero capitolo è calato il segreto di Stato imposto da quattro governi uno dopo l'altro. Ma tre certezze, invece, ci sono. La prima è che Abu Omar è un terrorista, non un semplice predicatore radicale: lo ha stabilito una sentenza passata in giudicato. La seconda è che nessuno lo sta cercando. La terza è che Abu Omar è tutt'altro che introvabile: se ne sta al Cairo, dove nella zona sud est della capitale ha aperto anche una macelleria, vive nei dintorni, ha lasciato la moglie. E continua a pensarla come prima.

L'Egitto è legato all'Italia da accordi bilaterali che renderebbero piuttosto semplice l'estradizione. E al potere al Cairo c'è il generale Abdel Fattah el-Sisi, che per i Fratelli musulmani e per i teorici e i praticanti in genere della jihad non ha alcuna simpatia. Chi ha avuto modo recentemente di dialogare con l'entourage del presidente egiziano ha avuto la netta impressione che el-Sisi sarebbe più che contento di liberarsi del suo connazionale e di rispedirlo in Italia sotto scorta sul primo volo utile. Il problema è che dall'Italia nessuno gli chiede di farlo. La Procura generale di Milano, cui compete la richiesta di estradizione, assicura di averla inviata al nostro ministero della Giustizia subito dopo che la condanna è diventata definitiva. Ma a quel punto cosa è accaduto? La domanda si è persa in qualche armadio a Roma? O è stata inviata all'Egitto ma di fatto nessuno si è attivato perché al Cairo la prendessero in esame?

Si potrebbe rispondere che le sue colpe Abu Omar le ha già pagate con la rendition cui è stato sottoposto, il sequestro da parte degli 007 americani e la riconsegna - dopo un volo notturno via Ramstein - alle autorità del suo paese, dove è rimasto a lungo in carcere e dove sarebbe stato anche torturato (anche se non risulta che abbia mai presentato una richiesta di risarcimento alle autorità egiziane). Ma uno «sconto» per quella disavventura Abu Omar l'ha già ricevuto nella sentenza che nel 2013 lo ha dichiarato responsabile di terrorismo internazionale, per avere reclutato per conto di Ansar al Islami, una costola di Al Qaeda, accusata di preparare attentati non solo all'estero ma anche in Italia, «adepti pronti a martirio» da inviare in Kurdistan. Sotto la sua guida, tra il 2001 e il 2003 la moschea milanese diventò un centro di indottrinamento e arruolamento per terroristi, dove incitava alla guerra «di tutti i musulmani contro tutti i non musulmani», e sulle porte del suo ufficio l'imam aveva affisso il passo del Corano che - nella sua interpretazione - giustificava l'attacco alle Torri gemelle. «Le sue lezioni sono delle bombe nucleari», commentava un accolito, dopo che Abu Omar aveva definito «amati da Dio» gli autori di una strage in Tunisia.

Eppure, nonostante la condanna per terrorismo e la richiesta di estradizione, Abu Omar vive tranquillo. Non ha potuto incassare il milione di euro che l'Italia avrebbe dovuto pagargli se i vertici del Sismi fossero stati condannati per complicità nel sequestro, ma ciò non gli impedisce di fare una vita serena ed agiata. Che fosse tutt'altro che irreperibile, lo si poteva intuire già dalla facilità con cui i giornalisti italiani lo intervistano: l'ultima volta l'8 gennaio scorso, quando dopo l'uccisione dei giornalisti di Charlie Hebdo , parlando con l'Adnkronos Abu Omar diede la colpa del massacro ai giornalisti che ne erano stati vittime, ai giudici che non li avevano fermati, e persino al Vaticano che «avrebbe dovuto prendere posizione» sulle vignette blasfeme del settimanale. E che Abu Omar sia a portata di manette e di estradizione risulta anche ai nostri servizi segreti, che hanno localizzato lui, la sua macelleria, la sua abitazione nei sobborghi del Cairo.

Insieme all'imam terrorista, la nostra intelligence ha individuato anche i contatti che continua a tenere con l'Italia e i suoi rapporti con predicatori e fedeli legati all'ala più integralista dell'Islam. Per l'Italia, secondo i nostri 007, Abu Omar potrebbe tornare ad essere un pericolo. Ma nessuno lo cerca.

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