Un test psicologico per le toghe: non dare poteri a chi non sa gestirli

Mille giuste condanne non potranno mai far dimenticare una sola condanna di un innocente. Tra il 1991 e il 2020 sono finite in cella, ma poi sono state assolte o prosciolte, circa 30.000 persone, mille l'anno, due o tre al giorno.

Un test psicologico per le toghe: non dare poteri a chi non sa gestirli

Il sottotitolo di questo bel libro è: «perché in Italia migliaia di innocenti finiscono in galera: le storie, le cause e le colpe». È una domanda a cui non è semplice dare una risposta perché è vero che è ben individuabile quale sia stato l'errore, ma è assai più problematico perché si è verificato l'errore, proprio quello specifico errore. Forse, seguendo il tracciato dei casi analizzati da Stefano Zurlo nel Libro nero delle ingiuste detenzioni (Baldini e Castoldi, 192 pp, 17,10 euro), sarà possibile cercare una spiegazione a quello che non esito a definire «un crimine», perché togliere ingiustamente la libertà a un essere umano procura sofferenze a lui, a la sua famiglia, a chi gli vuole bene. Mille giuste condanne non potranno mai far dimenticare una sola condanna di un innocente. Merita di essere ricordata l'apertura della prefazione di Carlo Nordio: «la lettura di questo libro di Stefano Zurlo dovrebbe essere resa obbligatoria per l'accesso agli esami di magistratura, perché nulla quanto una sequenza di errori funesti avverte i giudici sui pericoli del potere». Vorrei aggiungere che qualcos'altro si dovrebbe fare per selezionare i soggetti che intendono fare il giudice: forse un buon test psico-attitudinale eviterebbe di dare tanto potere a chi non è in grado di esercitarlo.

Stefano Zurlo ricorda, anzitutto, a che livello è «il guasto del sistema»: tra il 1991 e il 2020 sono finite in cella, ma poi sono state assolte o prosciolte, circa 30.000 persone, mille l'anno, due o tre al giorno. Percorrendo i casi, dietro i quali - ricordiamolo - c'è una persona, un cittadino come noi, forse potremo dare una risposta alla domanda iniziale. Jonella Ligresti, arrestata, condannata dal Tribunale di Torino a 5 anni e 8 mesi. Poi si scopre di un errore del perito contabile. Mauricio Affé è incriminato per rapina. C'è un video che lo scagiona, ma il giudice delle indagini o non lo guarda, o non lo sa guardare. Affè ha una cattiva fama, un attaccabrighe, tanto basta. Il Tribunale, in base allo stesso video, poi lo assolve. Diego Olivieri viene scambiato per un narcotrafficante e messo in carcere, perché, tornando dal Canada porta con sé l'orologio di un amico e glielo consegna. C'è il sospetto che si tratti di droga. Il Pubblico ministero lo avverte: «Finché non collabori, non torni a casa». Dopo 5 anni è assolto. Pietro Paolo Melis è arrestato per un sequestro di persona. C'è una intercettazione telefonica che gli viene attribuita. Condanna a 30 anni. Dopo più di 18 anni si accerta che la voce non è la sua. Angelo Massaro, condannato a 24 anni per omicidio, ventun anni di carcere, per una consonante, una «s» interpretata come una «t». In realtà, nella intercettazione non si parla del «morto» (muerte), ma di una pala meccanica «pesante» (muerse, in dialetto). È l'errore di un perito, è l'errore dei giudici che travisano l'intercettazione. Scrive Zurlo: «pagina dopo pagina, scopriamo che i campanelli d'allarme avevano suonato chissà quante volte: gli squilli facevano pensare che Massaro fosse innocente, non colpevole».

Ci sono altri casi, nel libro.

Tutti dimostrano che si poteva evitare il carcere a un innocente, e consentono di fare un catalogo delle cause dell'errore giudiziario: l'incompetenza del perito, il pregiudizio del giudice, le inchieste a senso unico, la negligenza del magistrato, la falsa confessione (indotta o estorta), la collaborazione ottenuta con il carcere. Ciò che è stato fatto dopo, per scoprire l'errore, si poteva fare prima: questo è il messaggio che ci viene dalle pagine del «Libro nero delle ingiuste detenzioni».

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