La trattativa tra Kkr e Tim è andata avanti fino all'ultimo secondo. Alle 22 di ieri sera si è avuta la conferma che il il documento era in arrivo ma non ancora recapitato: la deadline era comunque fissata alla mezzanotte. Negli ultimi giorni, e ancora di più nelle ultime ore, il negoziato si è intensificato. Il tema non è tanto la cifra, il cui valore resta intorno ai 23 miliardi (bonus compresi). Era difficile cambiare molto le cifre dopo che il ministero dell'Economia (Mef) ha stanziato 2,5 miliardi in cambio del 20% e l'operazione è stata già stata messa a punto con i finanziatori. Però l'offerta, che è molto articolate e conterebbe circa 500 pagine più gli allegati, può essere migliorata su altri punti: quanti dei 40mila dipendeti di Tim rimarranno nella società della rete e quanti nella società dei servizi dopo lo scorporo, il contratto di servizio che regolerà i rapporti tra le due realtà una volta divise, le tempistiche del tutto. Un'operazione articolatissima, che regolerà il più grosso scorporo mai fatto nel mondo delle telecomunicazioni.
Da quanto filtra, nel documento è esplicitato il ruolo ricoperto dal Mef in tutta l'operazione. L'offerta abbraccerà tutta la rete, compresa Sparkle, la società dei cavi internazionali.
In calce all'offerta ci sarebbe solo la firma di Kkr. Questo non significa che alla fine non si andrà a formare la cordata con il ministero dell'Economia e il fondo infrastrutturale F2i. Tutti i partner sono legati da accordi, che si concretizzeranno successivamente quando, da una parte, il Mef avrà incassato il via libera della Corte dei conti e dell'Antitrust e, dall'altra, F2i avrà messo a punto un apposito fondo e raccolto un miliardo da investire per avere tra il 10 e il 15% della nuova NetCo. Il tempo, del resto, non manca: l'offerta di Kkr dovrà ora essere esaminata dagli advisor per poi passare al vaglio del consiglio d'amministrazione di Tim che convocherà tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre una seduta per dare il suo responso sul rilancio americano. La sensazione è che il board di Tim che ha al suo interno almeno cinque membri sensibili alle posizioni dei francesi di Vivendi, contrari a questa operazione passerà la palla a un'assemblea ordinaria dei soci. Sarebbe, infatti, inutilmente incendiario fare da subito una prova di forza, a colpi di maggioranza in consiglio, anche se l'ad del gruppo, Pietro Labriola, ha già in tasca due pareri legali che ritengono basti l'ok del board per concludere l'affare. E quindi, nell'ambito di un'assise ordinaria, Vivendi (primo socio con il 23,7% del capitale) non potrebbe esercitare il peso decisivo che avrebbe, invece, in un'assemblea straordinaria che richiede maggioranze qualificate. Non a caso, la società guidata dal ceo Arnaud de Puyfontaine ha sempre detto che per uno scorporo della rete è necessaria l'assemblea straordinaria.
Prima di ogni, eventuale assemblea ci sarà il tempo di riallineare i vari interessi: il vero tema, come si accennava, è trovare la quadratura per rendere sostenibile la ServCo, la società dei servizi che rimarrebbe dopo lo scorporo della società della rete, NetCo. I 19 mila dipendenti che rimarrebbero, infatti, sono ritenuti ben oltre gli 8mila ritenuti sufficienti da Vivendi.
Ed è qui, sulla partita occupazionale, che ci si giocherà l'ok definitivo (e in concordia) a un'operazione fortemente voluta dal governo italiano. Fermo restando che, anche alla luce della determinazione messa in campo dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, sarebbe alquanto clamoroso se alla fine l'operazione non andasse in porto.
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