Cultura giuridica contro irruenza investigativa: alla fine erano questi i corni del dilemma che il Consiglio superiore della magistratura era chiamato a sciogliere ieri, dovendo scegliere il nuovo procuratore nazionale Antimafia. I due candidati rimasti a contendersi una delle poltrone più ambite d'Italia (anche se di utilità concreta piuttosto discussa) erano rimasti due magistrati che rappresentavano plasticamente due approcci opposti al ruolo inquirente: da una parte Giovanni Melillo, oggi procuratore di Napoli, spessore culturale indiscusso; dall'altra il sanguigno Nicola Gratteri, capo della Procura di Catanzaro, l'uomo delle maxiretate contro la ndrangheta. Prevale nettamente il primo: il Csm si spacca, come era avvenuto il mese scorso per la nomina del capo della Procura di Milano, ma a Melillo non serve neanche il ballottaggio. Viene nominato con 13 voti contro i 7 di Gratteri.
A garantire a Melillo il successo al primo turno, sono - significativamente - i voti dei vertici della Cassazione, il presidente Pietro Curzio e il procuratore generale Giovanni Salvi, che nel voto su Milano invece si erano astenuti. Sia Curzio che Salvi vengono dalle file di Area, la corrente dei giudici di sinistra, ma sarebbe riduttivo leggere l'endorsement per Melillo, anche lui di Area, come una faccenda di schieramento. A pesare contro Gratteri è probabilmente anche una certa sovraesposizione mediatica, una visione un po' muscolare del ruolo, pugno di ferro in guanto di ferro (non sempre sorretta da altrettanti successi al momento delle sentenze). Non a caso a favore di Gratteri si sono spesi ieri nel plenum del Csm gli ex «davighiani» Sebastiano Ardita e Antonino Di Matteo, ala «dura» delle toghe: Ardita arriva ad ammonire il Csm che non nominare Gratteri a capo della Procura nazionale «sarebbe non solo una bocciatura del suo impegno antimafia ma un segnale devastante al movimento culturale antimafia». Il plenum non se ne dà per inteso e nomina Melillo, a suo favore vota compatta Area ma anche consiglieri moderati come i laici Michele Cerabona e Alberto Maria Benedetti, a riprova che il diverso profilo dei due candidati ha scavallato anche gli schemi di schieramento.
Resta il fatto che per la guida della Procura voluta da Giovanni Falcone (cui il Csm negò di diventarne il primo capo) la nomina di Melillo conferma la tendenza a farne un feudo della sinistra giudiziaria: a partire dal 2005 è stata guidata da due magistrati così dichiaratamente marchiati che dopo averla lasciata entrarono in Parlamento per il Partito democratico, cioè Piero Grasso e Franco Roberti. La nomina dell'attuale titolare Federico Cafiero de Raho, uomo della corrente di centro Unicost, fu nel 2017 una sorta di risarcimento che il Consiglio superiore gli tributò all'unanimità per avere bocciato, nonostante il forte sostegno di Luca Palamara, la sua candidatura alla Procura di Napoli: gli venne preferito proprio Melillo, che diviene ora il suo successore. Alla fine i nomi che girano sono sempre gli stessi, a riprova di una certa difficoltà di ricambio nelle posizioni di vertice della magistratura.
Con la nomina di Melillo si chiude una prima tornata di nomine giudiziarie importanti. Ancora da coprire resta la procura generale della Cassazione, che Salvi libera a luglio.
Di tutto il resto, dal tribunale di Milano alle procure di Firenze e Palermo, si occuperà probabilmente il prossimo Csm: quello attuale scade tra pochi mesi, ma per eleggere quello nuovo il Quirinale pretende che venga prima varata la riforma portata dal ministro Cartabia all'esame del Parlamento.
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