Durante il processo, i morti da sette sono diventati otto: perché anche Pierangelo Bovio Ferrassa, operaio Olivetti, che in una delle prime udienze era venuto in aula stoicamente a raccontare il suo calvario con il mesotelioma, e a chiedere - in modo sommesso e quasi umile - di avere giustizia, è stato stroncato dal tumore. Otto morti ma nessun colpevole. Così stabilisce ieri la Corte d'appello di Torino, che dopo una breve camera di consiglio azzera l'intero processo per i morti da amianto alla Olivetti di Ivrea. Tutti assolti: a partire dai fratelli De Benedetti, Carlo e Franco, per lunghi anni ai vertici della gloriosa azienda fondata da Camillo Olivetti, imprenditore illuminato, e diventata un cimitero di operai ed impiegati.
Otto morti in questo processo, un'altra ottantina nelle inchieste ancora aperte. Per la Procura di Ivrea - ma anche per il Comune, che si era costituito parte civile, per i sindacati, per i familiari delle vittime - era stato un processo faticoso, perché andava a strappare la maschera all'Olivetti del volto umano, a scavare nella simbiosi secolare tra città e fabbrica. Ma alla fine le pm Laura Longo e Francesca Traverso avevano raggiunto la convinzione che tutti quei morti avessero colpevoli precisi: gli amministratori e i manager che conoscevano i rischi dell'amianto e la sua presenza nei reparti, e che erano intervenuti tardi e male, «essenzialmente per motivi economici». Il 18 luglio 2016 il tribunale di Ivrea aveva accolto le tesi della Procura, e aveva condannato l'Ingegnere a cinque anni di carcere per omicidio colposo plurimo.
Il 21 febbraio, al termine del processo d'appello, la Procura generale aveva chiesto la conferma delle condanne: con un solo sconto, perché i primi due omicidi contestati all'Ingegnere, le morti dell'operaio Francesco Stratta e dell'analista Luigi Mariscotti, sono ormai prescritti. Ieri invece la Corte d'appello torinese annulla tutte le condanne: quella dell'Ingegnere, di suo fratello, di Corrado Passera che in primo grado era stato condannato a un anno. «Ho sentito il mio assistito che è molto soddisfatto della sentenza -spiega il difensore di De Benedetti, Tomaso Pisapia - aveva sempre avuto grande fiducia nella magistratura».
In realtà, Carlo De Benedetti viveva con grande preoccupazione l'appuntamento con la sentenza: perché una condanna lo avrebbe fatto passare alla storia come uno sterminatore di operai anziché come un editore amante della legalità, e perché - dettaglio non da poco - se la pena fosse rimasta sopra i quattro anni non avrebbe avuto neanche diritto all'affidamento ai servizi sociali. Invece arriva quello che Federico Bellomo, leader della Fiom, definisce «un colpo di spugna». E De Benedetti è salvo.
Come è stato possibile, cosa è cambiato rispetto alla sentenza di primo grado? Una assoluzione «per non aver commesso il fatto» avrebbe almeno riconosciuto che i dipendenti Olivetti erano stati uccisi dall'amianto, pur non potendo indicare con precisione la data di insorgenza della malattia, né quindi individuare a quali amministratori e manager attribuire la colpa. Poteva venire accolta la tesi difensiva dell'Ingegnere, la complessità della catena di comando del gruppo che non gli consentiva un ruolo diretto nella tutela della sicurezza.
Invece per la Corte «il fatto non sussiste», gli omicidi colposi semplicemente non vi furono. Certo, il bravo Bovio Ferrassa, l'operaio che amava la fabbrica che gli dava da mangiare, è morto davvero; e morti sono i suoi colleghi. Ma non è colpa di nessuno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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