Torino, i Cinque Stelle bandiscono le auto storiche

Dopo aver perso il Salone Parco Valentino, ennesimo colpo all'(ex) capitale dell'auto: via le auto storiche dal capoluogo torinese. L'imbarazzo di una città che dimentica se stessa

Torino, i Cinque Stelle bandiscono le auto storiche

Torino e la sua infinita battaglia con il miglioramento della qualità dell’aria: agnelli sacrificali, questa volta, la cultura dell’auto d’epoca e i loro proprietari.

Con un Decreto del Consigliere Delegato, in vigore dal 1° ottobre 2019 infatti, su 23 comuni della Città metropolitana di Torino sarà proibita la circolazione a qualunque automobile con omologazione inferiore all’Euro 1 dalle 0.00 alle 24.00 di tutti i giorni, festivi compresi.

Già ulteriormente vessati da una serie di normative nazionali volute dal Governo Renzi, questo è l’ennesimo Decreto che suona alla stregua di una presa in giro.

Infatti gli attuali possessori di veicoli Euro 0 residenti nella città metropolitana pagheranno la tassa regionale di possesso di un veicolo che NON potranno utilizzare.

Pagheranno per il solo motivo di possederlo.

L’unica speranza, che l’autovettura abbia compiuto più di 30 anni: in quel caso la tassa regionale sarà forfettaria e riguardante la sola circolazione. Vietata, a questo punto.

La città che per anni è stata la capitale italiana e non solo dell’auto dimentica la sua storia, il suo passato, con un colpo di spugna che ha dell’incredibile.

Surreale se ricordiamo come l’Automotoclub Storico Italiano e la Fédération International des Véhicules Anciens, le istituzioni più importanti nell’ambiente dell’automobilismo storico internazionale, abbiano da sempre sede a Torino. Senza dimenticare il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, intitolato a Giovanni Agnelli, tra i più importanti e antichi del mondo.

La città che per antonomasia in Italia deve più di ogni altra alle quattro ruote, le rinnega e con loro la sua Storia.

A essere incluse nel divieto, non si tratta di una parte delle (inquinanti) vetture Euro 0 ma di tutte, anche quelle regolarmente iscritte in Registri Storici e relativi Club federati.

Mezzi non comuni, la cui vista in passato ha entusiasmato ragazzi di ogni età, i quali creavano sogni dopo aver sentito il rumore di un sei cilindri Fiat o rimasti folgorati da una linea disegnata da Pininfarina.

Delusione da parte dell'assessore regionale Matteo Marnati, subito sceso in prima linea per difendere le auto storiche: "I possessori di questi veicoli non scorrazzano in città per il gusto di inquinare, e solitamente non li utilizzano neppure per il trasporto ordinario come sanno tutti. Non si chiudono i mei. E le auto storiche sono musei, sono la nostra storia, un patrimonio che il mondo ci invidia e che qualcuno vorrebbe chiudere in garage nel nome di un’ecologismo ideologico, abborracciato e sgangherato. Torino ha già dovuto subire la cancellazione del Salone dell’Auto, adesso basta".

E ancora, prosegue sempre l'assessore regionale: "I possessori di questo tipo di veicoli pagano l'iscrizione al registro del ministero, e una parte di questi soldi sono tasse. Impedire loro di utilizzare un bene mobile per il cui possesso lo Stato incassa quattrini, è una stupidaggine. Detto che, almeno durante i fine settimana hanno il diritto di circolare liberamente. Soltanto l'Italia ha un patrimonio di auto storiche così importante, tant'è vero che si calcola che in ambito turistico la passione per questi veicoli genera un indotto economico di oltre 500 milioni di euro all’anno a livello nazionale".

Torino era una potenziale biblioteca a cielo aperto nell’automobilismo, che permetteva il nascere di carriere o interessi nell’automotive grazie al suo bagaglio culturale. Che ora rischia di venir dimenticato a prendere polvere in qualche garage.

Dopo aver perso il Salone Parco Valentino, dopo aver relegato questi mezzi alla sola passerella domenicale, l’addio definitivo.

Mezzi che in virtù dell’esiguo numero sul totale, non erano sicuramente loro a incidere in una qualità dell’aria che ben maggior colpa potrà trovare, per esempio, negli

impianti di riscaldamento domestico.

Si tratta solo dell’ennesimo, ultimo smacco di una città che dimentica quanto di bello l’ha resa grande, per provare a guardare a un futuro che non si basa su nulla di minimamente certo.

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