Il paradosso è il concetto che esprime al meglio l'attuale dimensione della sinistra italiana ed europea. Neppure una settimana fa, all'indomani del voto che ha riportato Donald Trump alla Casa Bianca, in Europa tutti, esclusi i sovranisti più radicali, hanno inneggiato all'unità europea come condizione essenziale per dialogare o anche fronteggiare un presidente USA che ha sempre mostrato di non avere in gran simpatia la Ue, che quasi non riconosce l'Unione visto che per natura preferisce relazioni bilaterali con i singoli Paesi. Un inquilino della Casa Bianca che ha idee diverse da quelle di Bruxelles sull'Ucraina, diffidente sull'impegno della Nato e che difende, nella logica dell'America First, esclusivamente gli interessi economici americani al punto di immaginare dazi del 20% sui nostri prodotti. Ci sarebbe, quindi, un lungo elenco di ragioni per spingere i Paesi europei, e di conseguenza i partiti storicamente votati all'integrazione, a privilegiare un'immagine di unità a scapito degli interessi di parte. E, invece, niente. È trascorsa una settimana e i socialisti europei - condizionati da grillini, verdi e sinistra radicale - non hanno ancora detto un sì chiaro alla nomina a vicepresidente esecutivo della Commissione di Raffaele Fitto, che pur avendo un passato cristallino di democristiano europeista ora per alcuni di loro (vedi la stessa Schlein) ha la macchia di aver aderito al partito Conservatore di Giorgia Meloni. Divisi, hanno preferito mettere in piedi una commedia circondata da un alone di dramma o di farsa. Risultato: il varo del nuovo governo europeo che prima doveva avvenire ieri e forse oggi, rischia di slittare addirittura alla prossima settimana. Se poi saltasse la nomina di Fitto - ma è difficile sempreché non prevalga il proverbiale istinto masochista della sinistra - tutto tornerebbe in alto mare. Insomma, roba da non credere che non può non far ridere un personaggio come Trump, il quale già all'indomani delle elezioni aveva in tasca la lista dei suoi ministri, compreso Elon Musk, e giorno dopo giorno ne tira fuori uno. Un'immagine dirompente se paragonata alla tragicommedia della nuova Commissione Europea specie se la sua nomina slittasse di un'altra settimana. Ma al di là della disputa su Fitto la vicenda nasconde una miopia politica di fondo che dimostra i limiti attuali della sinistra europea: in questa fase complicata è evidente che sarebbe interesse della maggioranza storica della UE (cioè socialisti, liberali e popolari) dividere le due destre europee, conservatori e sovranisti, tentando di aprire un dialogo con i primi che su questioni come l'Ucraina hanno assunto posizioni assimilabili alla Von der Leyen.
Nella consapevolezza che l'altra destra, quella di Orbán, diventerà una quinta colonna di Trump (come di Putin) nella Ue. È la ragione per cui i popolari hanno aperto un confronto con i mondi che ruotano attorno alla Meloni da mesi e mesi. La sinistra, invece, calata nel buio di una sorta di «ebetismo politico», no. Soprattutto, è mancata la spinta del Pd, la delegazione più numerosa nel gruppo socialista di Strasburgo.
Tanto più che sarebbe davvero difficile per Schlein e compagni votare contro Fitto, cioè contro chi rappresenta i nostri interessi nazionali.
Come al solito da quelle parti si sono divisi tra l'area riformista, capeggiata da Paolo Gentiloni, che mantenendo un minimo di razionalità politica ha lavorato per la nomina di Fitto, e l'ala radicale, compresa la Schlein, che fino all'ultimo ha accarezzato l'idea di fargli lo sgambetto privando il rappresentante italiano della carica di vice-presidente esecutivo. Appunto, miopia politica.
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