Le previsioni del presidente dei biologi, Vincenzo d'Anna, si sono avverate: esistono più ceppi del virus, quello italiano non per forza ha a che fare con quello cinese. Al momento in Italia sono state isolate tre varianti di coronavirus: una allo Spallanzani di Roma e due in Lombardia, dell'università Statale e dell'ospedale Sacco in un caso e dagli specialisti dell'ospedale San Raffaele nell'altro. «Il fatto che siamo riusciti a isolare Sars-Cov-2 così velocemente e in numerosi campioni, è solo l'ulteriore evidenza che questo virus si trasmette in modo molto efficiente anche in vitro, oltre che in vivo» spiega Massimo Clementi, ordinario di Microbiologia e virologia all'università Vita-Salute San Raffaele, il cui laboratorio nel 2003 ha isolato l'unico ceppo italiano della Sars.
Sapere che il coronavirus si snoda in più varianti potrebbe sembrare una notizia allarmante. In realtà ogni ceppo isolato può fornire informazioni utili. In sostanza, più conoscenze si hanno sul virus, più si può studiare un piano d'attacco valido, per ora con i cocktail di farmaci, in futuro con il vaccino. Dagli isolamenti emerge un possibile identikit del ceppo virale: si tratta intanto di un unico cluster di genomi isolati anche in altri Paesi europei (in particolare in Germania e Finlandia) e in paesi dell'America centrale e meridionale, oltre che all'isolato italiano recentemente pubblicato dall'Istituto Superiore di Sanità e ottenuto nell'area del lodigiano. Inoltre, la stima preliminare del tempo di origine di questo cluster corrisponde a un periodo che precede di diverse settimane il primo caso evidenziato in Italia il 21 febbraio. Il virus circolava già nelle settimane precedenti al caso del paziente uno a Codogno. L'analisi in corso di ulteriori genomi, spiegano i ricercatori, consentirà di ottenere stime più precise sull'ingresso del virus nel nostro Paese e sulle possibili vie di diffusione.
Le ipotesi sono coerenti anche con lo studio cinese pubblicato sulla National Science Review che sostiene esistano due tipi di coronavirus. Uno che gira da più tempo, più debole e dunque più contagioso: gli infettati hanno sintomi lievi e perciò continuano nelle loro attività quotidiane, vanno in giro, stringono mani, tossiscono in ufficio, e infettano molte più persone (che poi è l'obiettivo finale dei virus). Il secondo invece è molto più aggressivo, provoca febbre altissima e polmonite.
Ma tutti i virologi sono concordi nel sostenere che la variante più strong sia destinata a evolversi e indebolirsi, in nome di una forma più leggera e compatibile con il corpo umano. Il presupposto è che l'obbiettivo del virus non sia uccidere ma convivere con l'uomo.
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