Non è la solita crisi di governo italiana. Ci sono in gioco interessi sovranazionali poiché la NATO e la UE sono in guerra e noi ne siamo parte. Hanno poco da strillare i sovranisti: è stato proprio l'esercizio della sovranità a farci stare tra i fondatori di entrambe. Che alcuni protagonisti siano più orientati a occidente o a oriente è possibile, con un distinguo per chi vorrebbe «todos caballeros»: Washington e Bruxelles sono gli alleati che abbiamo scelto, alla luce del sole, mentre Mosca è il sabotatore di queste alleanze. Con questa necessaria premessa, ci sono tre scenari: si prosegue coi 5S, senza i 5S o si vota.
Continuare con i 5S al governo è difficile per Draghi, poiché vorrebbe dire intestarsi il bluff, col risultato di indebolirsi per il prosieguo, non potendo minacciare una seconda volta. Sarebbe il trionfo di 5S e Lega, che non aspettano altro che attingere alle casse dello Stato per apparire più belli di Letta e Meloni in campagna elettorale. Il Pd dovrebbe mettersi di traverso, ma non lo farà perché ha raggiunto l'autosufficienza politica: sostiene tutto e il suo contrario, è avanti.
Continuare senza i 5S è la soluzione più logica. Apparirebbe il filo rosso che lega l'uscita di Di Maio e la forzatura di Draghi per buttare fuori Conte dal governo. Sarebbe accompagnata da un giro di vite sul programma, con ancor meno spazi di lamentela per chi resta. Allora sarebbe la Lega a mettersi di traverso, perché ancor più esposta alle bordate di Giorgia. Anche il Pd dovrebbe ripensare la sua strategia, rompendo coi 5S e rimanendo in un governo spostato al centro-destra, dunque esposto a Conte e alla sinistra. Letta dovrebbe dimettersi ma, come detto, è improbabile che al Nazareno la vedano così, avendo da tempo dismesso la coerenza.
Elezioni: addio riforme, o presunte tali, e addio soldi del PNRR. In aggiunta, e forse peggio, ci troveremmo senza un riferimento autorevole in Europa proprio quando c'è da impostare le misure comuni per reggere meglio l'impatto della stretta energetica del Cremlino, oltre a condividere con Bruxelles e Francoforte le politiche fiscali e monetarie per evitare il disastro, ossia misure monetarie deflazionistiche accompagnate da deficit per compensare la perdita di potere d'acquisto dei salari.
Oggi l'Italia si trova alla guida dell'UE per una fortunata congiuntura: Macron nelle sabbie mobili di probabili elezioni il prossimo anno, Ursula&company sballottati tra la realtà e la transizione energetica, Scholz a cui tocca spiegare ai tedeschi che l'eredità della Merkel-Santa-subito conteneva una guerra USA-Russia e in prospettiva pure con Pechino, proprio quelli su cui Angela aveva puntato per la politica energetica e quella industriale, rispettivamente.
Ma la leadership ci tocca, nonostante il sistema Paese, per la statura di Draghi, che è premier perché i partiti non sono stati in grado di esprimere uno adeguato per la pandemia, figurarsi guerra, crisi energetica e inflazione. Ora chi sta fuori dal Palazzo invoca il voto e pretendere che siano le altre segreterie a bocciarlo è chiedere troppo. Ma la verità amarissima è che proprio nelle urne si annidi la debolezza autolesionista degli italiani.
Tutte le politiche che promettono il bene della gente e premiano al voto sortiscono esattamente l'effetto contrario: avvitano sempre di più il Paese nella spirale deficit/scarsa produttività. Per salvare la democrazia è indispensabile una narrazione diffusa e martellante che smonti con i fatti le promesse facili e ideologiche. Il boccino sta nelle mani dei professionisti dell'informazione.
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