Il trojan di Palamara e il giallo delle date Ecco che cosa non torna

Cantone ha spiegato al Csm perché la cena con Pignatone non fu registrata. Ma restano dubbi

Il trojan di Palamara e il giallo delle date Ecco che cosa non torna

Ci sono delle incongruenze nelle dichiarazioni fatte lunedì da Raffaele Cantone al Csm sul caso Palamara. La più macroscopica sarebbe sul funzionamento del trojan-spia nel cellulare dell'ex presidente dell'Anm, che non registrò la cena del 9 maggio 2019, per il pensionamento dell'allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.

Il capo dei pm di Perugia, nell'audizione alla prima commissione chiesta anche a nome di Gemma Milani e Mario Formisano titolari dell'inchiesta, per ottenere una «pratica a tutela», avrebbe spiegato che si decise di non intercettare l'incontro. Era «conviviale», con le mogli, e in quelle occasioni Palamara non si lasciava andare a «confidenze», dunque era «inutile» ascoltare, scrive Repubblica. L'interruzione del trojan sarebbe stata una scelta motivata e Cantone peraltro riferisce ciò che avrebbe deciso il suo predecessore Luigi De Ficchy, visto che arrivò a Perugia a giugno scorso.

Il Sistema

«Ma come facevano in procura - si chiede il legale di Luca Palamara, Roberto Rampioni- a sapere di quella cena, se per la prima volta se ne parla in una telefonata del 9 maggio alle 15,54, tra Palamara e la sua amica Adele Attisani, che viene smarcata si dice in gergo, cioè ascoltata, dai finanzieri solo il giorno 13? Questo risulta dagli atti depositati». Le carte parlano e c'è aria di autogol, fanno notare dalla difesa dell'ex membro del Csm, radiato dalla magistratura e con un rinvio a giudizio per corruzione a Perugia. Se il procuratore avesse fatto riferimento alla «smarcatura» del 13, l'unica spiegazione sarebbe: fu tutto intercettato, ma poi si decise di cancellare o non utilizzare le conversazioni.

Tesi che sembra quella della difesa di Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa oggi deputato di Iv, sotto procedimento disciplinare al Csm, ma non indagato a Perugia. Il trojan registrò l'8 maggio la cena all'hotel Champagne per concordare il successore di Pignatone a Roma, tra Palamara, Ferri, il renziano Luca Lotti e 5 consiglieri del Csm che poi si dimisero. Ma il giorno dopo tacque. «Secondo la nostra perizia- spiega l'avvocato Luigi Panella- il trojan non fu spento o meglio la mattina del 9 maggio alle 11,45, ebbe ben 6 comandi, di cui uno retroattivo, che non fermarono la registrazione fino al pomeriggio, quando si interruppero i segnali di funzionamento del microfono ma continuarono quelli di sistema. Per i nostri esperti non c'è alcuna spiegazione tecnica, visto che i 5 casi di stop del microfono, segnalati dall'azienda di intercettazioni Rcs, sono tutti da escludere».

C'è poi la questione dell'intercettazione del presunto corrotto, ma non del presunto corruttore, l'imprenditore Fabrizio Centofanti. Cantone avrebbe spiegato che era difficile, perché l'interessato stava attento, parlava «in codice» e usava sotterfugi come alzare il volume della radio in auto e che anche gli altri coinvolti, Amara, Calafiore e il pm Longo, non «abboccarono» al messaggio per inoculare il trojan sul cellulare. «Gli atti - fa notare l'avvocato Ripamonti - vanno a Perugia per l'oscuro rapporto tra Palamara e Centofanti, che però non viene intercettato e viene iscritto nel registro degli indagati solo il 27 maggio».

Terza questione: il mancato invio di tutte le intercettazioni al Csm.

Cantone avrebbe confermato che, per un errore tecnico, furono inviate in un file solo quelle telefoniche. Mesi dopo, da fine anno, arrivarono sms e poi chat. Insomma, potrebbe esserci motivo di riascoltare al Csm Cantone su troppi «buchi neri».

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