Matteo Salvini: "Troppo potere alle toghe. E se sbagliano non pagano"

Salvini torna all'attacco: "Da decenni impediscono di cambiare la giustizia. Non ci può essere una casta al di sopra degli altri e che può spiare tutti"

Matteo Salvini: "Troppo potere alle toghe. E se sbagliano non pagano"
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Soltanto quarantotto ore prima Matteo Salvini, in occasione della presentazione del suo libro, aveva lanciato il primo affondo: «L'Italia è un Paese dove, per fare l'amministratore delegato, per fare l'imprenditore, il manager, per fare il ministro o il dirigente apicale pubblico o privato, devi avere una buona dose di coraggio perché per qualcuno siamo tutti presunti colpevoli in attesa di giudizio».

Ieri, nel giorno in cui Carlo Nordio partecipava al congresso dell'Anm muovendosi con prudenza lungo il percorso accidentato del dialogo tra governo e magistratura, il leader della Lega è tornato a lanciare messaggi forti all'indirizzo dei giudici.

«Oggi l'equilibrio dei poteri non è molto equilibrato», «io penso che sia giunto il momento di fare la riforma della giustizia» visto che «c'è uno dei poteri - che dovrebbe essere equilibrato - che al piano di sopra sbircia quello che fanno al piano di sotto e quando vuole telefona e chiama la pattuglia. Senza nessuna responsabilità di chi sbaglia con dolo». Il ragionamento di Salvini è chiaro: non è possibile far passare l'idea che sia possibile realizzare qualsiasi riforma, mettere mano alla macchina amministrativa o rivedere la forma di governo, mentre invece intervenire sulla giustizia risulta insostenibile per l'esecutivo. «Una riforma della giustizia serve. Stiamo facendo riforme sull'elezione diretta del presidente del Consiglio, un nuovo codice degli appalti, un nuovo codice della strada, stiamo modernizzando il Paese con l'autonomia. Non ci può essere solo la magistratura che da decenni impedisce qualsiasi tipo di riforma» dice il vicepremier leghista parlando a La Spezia. Per Salvini, «tutti quelli che sbagliano chiedono scusa e pagano». Per i magistrati «il massimo della conseguenza è il trasferimento» mentre per tutti gli altri «se fai qualcosa di penalmente rilevante ti licenziano, aprono un procedimento penale e, se sei un dipendente pubblico, ti chiedono un risarcimento danni. In Italia non si capisce perché tutti i lavoratori se sbagliano pagano, tranne i magistrati». Insomma «non ci può essere una casta al di sopra di tutto che non risponde mai di niente. Io non voglio un Paese in cui esistono caste impunite». E alla domanda diretta se Giovanni Toti debba fare un passo indietro Salvini risponde: «No, non deve dimettersi, sareebbe una resa, si deve attendere il terzo grado di giudizio». Il ministro delle Infrastrutture è convinto che il meccanismo delle intercettazioni e la loro pubblicazione equivalga a una sorta di rullo compressore, difficile da sostenere per chiunque. «Vorrei sapere se ci fossero microspie negli uffici di qualche magistrato per quanto tempo continuerebbe a fare il magistrato. Se condannato in via definitiva per carità di Dio, Toti si dovrebbe dimettere, ma non basta una indagine per far dimettere qualcuno». In ogni caso il punto è la necessità di ripensare il modo stesso in cui la magistratura è percepita. «Chi lavora per la giustizia è un lavoratore al servizio dello Stato. Se il governo ha in programma una riforma di un servizio che non è all'altezza delle aspettative dei cittadini possiamo anche ragionare di come farla funzionare meglio. I tempi della giustizia sono dilatati. E anche quando ti dà ragione, magari 6 anni dopo, è arrivata in ritardo».

Salvini, infine, non nasconde i timori neppure per alcune inchieste che hanno messo nel mirino alcune opere infrastrutturali.

«Se qualcuno fa il furbo è giusto intervenire, spero però che non ci sia qualcuno che ha l'obiettivo di fermare lo sviluppo del Paese». Perché, chiosa, «se tu blocchi infrastrutture a Genova, come la nuova diga del porto, fai un torto a milioni di cittadini».

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