Trump e il muro con il Messico: "Userà i soldi del dopo-uragani"

Casa Bianca vicina a dichiarare l'emergenza nazionale Shutdowun, 800mila dipendenti restano senza stipendio

Trump e il muro con il Messico: "Userà i soldi del dopo-uragani"

New York Donald Trump è sempre più vicino a dichiarare l'emergenza nazionale, e starebbe pensando di utilizzare i fondi dei disastri naturali per costruire l'agognato muro al confine con il Messico. La Casa Bianca sta gettando le basi per la dichiarazione che consentirebbe al presidente americano di bypassare il Congresso per finanziare la costruzione della barriera, mettendo così fine allo shutdown. E secondo due fonti anonime citate dal Washington Post, l'amministrazione Usa vorrebbe utilizzare fondi stanziati, ma non spesi, dell'Army Corps of Engineers. In particolare, per individuare finanziamenti alternativi da destinare alla costruzione di oltre 300 chilometri di muro, guarderebbe ad una legge sui disastri naturali approvata dal Congresso lo scorso anno che comprende 13,9 miliardi di dollari per una serie di progetti. Una decisione che potrebbe scatenare un'ondata di critiche, poiché il timore dell'opposizione è che vengano stornati fondi destinati a Porto Rico, Texas ed altri stati colpiti dagli uragani. Trump avrebbe già chiesto quanto velocemente potrebbero essere firmati i contratti, e se la costruzione iniziasse in 45 giorni. Secondo Nbc News il tycoon è stato informato del piano mentre volava al confine con il Messico, ma la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders, ha definito la notizia una fake news.

Un'altra proposta, invece, arriva dal vice governatore del Texas, Dan Patrick: «Il muro possiamo costruirlo noi se il governo federale ci rimborsa», ha detto a Trump durante la sua visita a McAllen. Il presidente, da parte sua, su Twitter ha ribadito che al confine meridionale c'è una «crisi umanitaria». «É una situazione peggiore di quanto chiunque possa pensare, un'invasione - ha aggiunto - I democratici non sanno quanto sia pericoloso per il nostro Paese». Spiegando poi che «il muro o la barriera d'acciaio doveva essere costruita molto tempo fa: le precedenti amministrazioni non l'hanno fatto, lo farò io. Senza quella, il nostro Paese non può essere al sicuro». Intanto, ieri, per la prima volta circa 800 mila dipendenti pubblici coinvolti nello shutdown non hanno ricevuto lo stipendio. La parziale paralisi del governo federale, che dura da tre settimane, è diventata la più lunga nella storia degli Usa, e sono tanti i dipendenti che si trovano in difficoltà ad affrontare le spese quotidiane.

Molti sono scesi in piazza a protestare, nella capitale, ma anche ad Atlanta e in altre città, mentre l'aeroporto di Miami chiuderà un terminal per tre giorni per l'assenza degli addetti ai controlli. E si stanno anche moltiplicando i problemi sulla gestione dei parchi nazionali, dei processi di ispezione alimentare e altri servizi. A causare ulteriore ansia e frustrazione è poi l'incertezza sulla durata del blocco. «Non sappiamo come pianificare il futuro. Dobbiamo cercare un altro lavoro? Aspettare? Chiedere la disoccupazione?», si domanda Ryan Baugh, addetto alle statistiche sull'immigrazione del Dipartimento per la sicurezza interna, messo in aspettativa.

Il Senato, nel frattempo, ha approvato all'unanimità una legge che garantirà il pagamento degli stipendi una volta terminato lo shutdown.

Secondo la stima di S&P Global Economics, la paralisi ad oggi è costata all'economia americana 3,6 miliardi di dollari, ovvero circa 1,2 miliardi a settimana. Se andrà avanti per altre due settimane costerà più dei 5,7 miliardi di dollari chiesti da Trump per il muro.

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