Ogni volta che viene intervistato da Norah O'Donnell, giornalista della Cbs, Joe Biden si trasforma in un fiume in piena, mettendo da parte tutta la sua aura diplomatica. Lo scorso ottobre, in piena campagna elettorale, Biden disse alla O'Donnell di ritenere la Russia «la più grande minaccia per la sicurezza americana», e la Cina «un concorrente con il quale inevitabilmente dovremo scontrarci». L'altra sera, nuovamente ospite di Cbs Evening News, l'inquilino della Casa Bianca ha sferrato un duro affondo nei confronti di Donald Trump. Secondo Biden, l'ex presidente non dovrebbe più ricevere informazioni segrete da parte dell'intelligence, essendo «inaffidabile». L'uscita ha destato clamore poiché rappresenterebbe un caso senza precedenti, dal momento che si tratta di una prassi che è stata sempre rispettata fino a oggi. Persino Nixon, dimessosi per lo scandalo Watergate, riceveva gli aggiornamenti da Gerald Ford. Per spiegare la propria posizione, Biden ha fatto riferimento all'insurrezione di Capitol Hill del 6 gennaio, e in particolare al comportamento inopportuno dell'allora presidente.
Nel momento in cui la O'Donnell gli ha chiesto se pensasse che Trump avrebbe dovuto ricevere il briefing dell'intelligence, Biden ha risposto «Non credo», spiegando che secondo lui non sarebbe di alcuna utilità. Vale la pena ricordare che gli ex presidenti sono autorizzati a richiedere e a ricevere informazioni riservate, anche per poter fornire preziosi consigli al presidente appena entrato in carica. Sembra però che Trump non abbia ancora presentato alcuna richiesta. D'altra parte, quando era in carica non era solito leggere regolarmente il «President's Daily Brief», il sommario altamente riservato dei segreti della nazione, facendosi aggiornare a voce due o tre volte alla settimana dai funzionari. Sulla vicenda aveva calcato la mano anche il New York Times, rivelando che una delle reazioni più comuni di Trump ai briefing era dubitare di ciò che gli veniva detto. Biden ha ritrovato un atteggiamento più contenuto sulla questione impeachment, rifiutandosi di dire se voterebbe per condannare o meno Trump: «Ho visto quello che hanno visto tutti gli altri. Sappiamo che cosa è accaduto quando quelle persone hanno assaltato il Congresso Usa. Ma adesso non sono al Senato, saranno loro a prendere questa decisione».
E mentre il presidente Usa definisce Pechino «un concorrente da affrontare», il suo segretario di Stato, Tony Blinken, non ha risparmiato critiche al governo di Xi Jinping durante un colloquio telefonico con il direttore dell'Ufficio degli Affari Esteri Yang Jiechi. Il contenuto della conversazione, che risale a martedì, è stato reso noto dal Dipartimento di Stato americano. Blinken ha spiegato al suo interlocutore che «gli Stati Uniti continueranno a lottare per i diritti umani e i valori democratici, anche nello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong», esortando la Cina «a unirsi alla comunità internazionale nella sua condanna del colpo di Stato militare in Birmania». Gli Stati Uniti - si legge nella nota - riterranno Pechino «responsabile dei tentativi di destabilizzare la regione indo-pacifica, compreso lo Stretto di Taiwan, e dei suoi attacchi contro le regole stabilite dal sistema internazionale».
Per tutta risposta Jiechi ha invitato la Casa Bianca a «non occuparsi degli affari interni della Cina. Qualsiasi tentativo di screditarci non avrà successo e la Cina continuerà a salvaguardare la sovranità nazionale, la sicurezza e i suoi interessi».
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